Uno sportello e due avvocati per denunciare gli sfruttatori

La cooperativa Lotta contro l'Emarginazione avvia a Varese un servizio per prostitute "in cerca di libertà"

Provate, se avete il coraggio, a denunciare l’uomo che vi ha costretto a diventare una prostituta. Provate ad immaginare di alzarvi una mattina, dopo una notte passata in un boschetto del Varesotto o in un night club della provincia, quindi non proprio di Nizza o di Montecarlo, uscire, salire le scale della Questura e spiegare al poliziotto all’ingresso, nell’italiano imparato sul marciapiede, che volete fare nome e cognome di chi vi sfrutta. Ci vuole un coraggio da leone. Che in genere, nessuna riesce a trovare. Ma da qualche tempo a questa parte c’è una grande opportunità per le prostitute che vogliono cambiare vita e ribellarsi a chi le ha ingannate promettendo un lavoro duro ma onesto. La cooperativa sociale Lotta contro l’Emarginazione, operativa da quasi 25 anni in Lombardia, e dal 1996 anche a Varese, ha aperto uno sportello che offre assistenza legale. Due avvocati guidano le donne nel complesso percorso della denuncia, dalla questura fino al processo. 
Spiega la coordinatrice del progetto Roberta Bettoni: «L’idea di partire a Varese con questa iniziativa nasce dal fatto che questa provincia è un crocevia della prostituzione. Le donne sbarcano a Malpensa e vengono subito intercettate dagli sfruttatori che, spesso le "sequestrano", portando via loro il passaporto e il poco denaro. Dal 2000 ad oggi ci siamo occupati di 110 casi, solo nel Varesotto. Un numero decisamente alto. Per questo abbiamo deciso di aprire due case di accoglienza, una delle quali ci è stata messa a disposizione dal Comune di Somma Lombardo. Oggi sono ospitate sette ragazze che attendono di cominciare una nuova vita». 
Le donne possono rivolgersi alla cooperativa Lotta contro l’Emarginazione per fare il primo passo: basta telefonare al numero 3403647726; risponde un volontario che fornisce le prime informazioni tra le quali l’indirizzo dello sportello di Varese: «Non lo rendiamo pubblico per ovvie ragioni: gli sfruttatori non scherzano ed è necessario che le ragazze siano tutelate fin dall’inizio. A quel punto fissiamo un appuntamento, andiamo in questura insieme, dove abbiamo contatti con la Squadra Mobile, e facciamo la denuncia. I nostri avvocati ci affiancano fino ad arrivare al processo. A volte non si ottiene un granché in termini economici ma il risarcimento anche solo morale, per queste donne rappresenta molto. E’ un’iniezione di fiducia». 
Nella provincia di Varese, ricorda ancora Roberta Bettoni, si è svolto in passato il primo processo in cui si configurava il reato di schiavitù oltre a quello dello sfruttamento della prostituzione. «Un passaggio fondamentale, che costituisce un precedente importante». 
I finanziamenti per il progetto della cooperativa arrivano dalla Regione Lombardia e sono annuali: «Questo ci ha consentito di mettere a disposizione un budget per le spese legali». 
Denunciare significa quindi liberarsi della schiavitù ma non solo. Significa vedersi restituire la dignità. Il modo migliore per cominciare una nuova vita.  

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Pubblicato il 21 Luglio 2004
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