Il teatro della discordia
La giunta di Varese dice "no" allo spettacolo di danza dei ragazzi palestinesi. I motivi spiegati dall'assessore alla cultura Musaio Somma
«Non capisco perché ve la prendete con me e la mia struttura. Ogni assessorato ha a disposizione delle date del teatro e le utilizza come vuole. La cultura si limita a un ruolo notarile». Musaio Somma non ha mandato giù tutte le polemiche di queste ultime ore. «Il caso sollevato dal vostro giornale è simile ad altri. Mi è arrivata la richiesta dall’assessore ai servizi educativi, Antonino Papale. Io mi sono limitato a portarlo in Giunta ed è stato respinto perché la richiesta è stata fatta da una associazione non riconosciuta. Sulle questioni di natura politica non intendo entrare nel merito, vorrei solo rispondere a chi ha spedito lettere a Varesenews, che noi siamo eccome impegnati sul fronte dei bambini. Abbiamo in previsione oltre dieci date di spettacoli dedicati a loro».
A questo punto abbiamo chiesto all’assessore di citarci i casi in cui altre richieste sono state respinte. Non abbiamo avuto risposte se non la promessa di fare una ricerca per farci avere un resoconto.
Il breve colloquio con l’assessore è stato comunque importante perché solleva altri interrogativi che lasciano ancora più amaro in bocca. Se qualcuno ha deciso una regola come quella esposta da Musaio, perché Papale non lo ha detto subito ai suoi interlocutori evitando una trafila che si sarebbe rivelata poi inutile?
Le affermazioni di Musaio, che non può essere il capro espiatorio, fanno emergere una responsabilità collettiva perché ogni assessore ha in realtà accesso alla richiesta del teatro.
Purtroppo nessuno vuole scoperchiare il vaso. Avrà ragione Massimiliano Panizza, un nostro lettore che oggi ci scrive dicendo che in Europa la stessa maggioranza che a Varese boccia la danza dei profughi palestinesi, a Bruxelles, rappresentati da Mario Mauro, si batte per affidare “il premio Sakharov a due donne, una israeliana e una araba, per il ”loro impegno per la pace e il rispetto dei diritti umani e la costruzione del bene comune nella regione israeliana e palestinese”. Il lettore ha fatto bene a sottolineare questa vicenda, ma nessuno di noi ha sollevato la questione dei ragazzi per ragioni di schieramento politico o per prendere parte a un dibattito che richiederebbe ben altri spazi. Abbiamo sollevato la questione perché non ci sembrava possibile liquidarla in maniera così superficiale come pensava sarebbe andata chi ha respinto la richiesta del teatro. È e resta una questione di civiltà e di attenzione a chi cerca, controcorrente anche in casa propria, di portare gesti di pace.
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