Ricerca e innovazione «Varese può fare di più»
La questione rilanciata da Montezemolo all'assemblea annuale di Univa
Barroso l’ha chiamata, nel suo intervento all’assemblea generale Univa 2005, l’ "economia della conoscenza": si alimenta di ricerca e innovazione e fiorisce in un territorio dove sono presenti università, centri di eccelenza scientifica, grandi aziende dotate di laboratori per l’innovazione. E’ un’economia che il dialogo tra istituzioni e aziende fa crescere, amplificando i risultati di questa ricerca e trasformandoli in benessere per tutti.
La definizione di Barroso calza perfettamente con le richieste di Montezemolo, che tra i cinque punti da chiedere alle istituzioni annovera innanzitutto l’istruzione e la ricerca tecnologica: due facce di una stessa medaglia, fatta di innovazione che fa da volano alla ripresa dell’industria. Punti che il presidente di Confindustria annovera giusto prima di ammonire il territorio di Varese, dicendo che "da qui deve provenire la terapia".
Montezemolo ha parlato a ragion veduta: in provincia di Varese esistono infatti due università (Insubria e Liuc) e un’offerta formativa di alto livello. Qui c’è un centro di ricerca europeo, il CCR di Ispra, un ente che fa test scientifici e ricerche per l’industria tessile di rilevanza nazionale (CentroCot) ; almeno tre grandi aziende ad elevata tecnologia che possiedono centri di ricerca interni e occupano centinaia di lavoratori (Whirlpool, Agusta, Aermacchi), persino un incubatore di aziende (Il Polo Scentifico Tecnologico Lombardo). A vedere ciò che il territorio ha già, c’e di che fregarsi le mani per la contentezza: eppure, qualcosa non funziona.
«Quello dell’università Cattaneo, come si sa, è un progetto nato dagli imprenditori, con l’intenzione dichiarata di inserire aspetti multidisciplinari, scientifici, che non attengano solo alla direzione dell’azienda ma diffondano cultura dell’innovazione – spiega Paolo Lamberti, presidente dell’Università Cattaneo Liuc – Se abbiamo difficoltà nel portare avanti il progetto? Più che difficoltà vere e proprie, diversi piccoli inghippi che rendono un difficile lavoro quotidiano proseguire, come facciamo, nel processo di innovazione. Con un modello in mente: Silicon Valley, diventata quello che è solo grazie alle tante università californiane che aveva intorno, che hanno creato l’humus in cui si sono poi sviluppate le idee».
Non è per niente campato per aria, il modello di Silicon Valley: anche nella nostra provincia infatti ci sono già tutti i mezzi e anche la tradizione industriale per portare avanti ricerca tecnologica, anche avanzatissima. «Noi abbiamo due centri di progettazione con competenze europee, e uno con competenze globali – Ricorda Gaetano Bartolone, Industry Relation Manager di Whirlpool – in essi sono coinvolti più di 200 ricercatori. Si tratta di veri e propri centri di ricerca applicata, ovviamente di tecnologia applicata agli elettrodomestici».
Ferdinando Lignano, già manager Whirlpool e ora consulente aziendale, aggiunge e sottolinea a questo proposito che «la ricerca applicata agli elettrodomestici non sarà quella più strettamente scientifica, ma ha un altissimo tasso di tecnologia e incide anche sulle abitudini dei consumatori. Basti pensare solo ai congelatori, che da quando sono nati sono sempre lo stesso cubo di plastica bianca. Ma ora, con il progresso della tecnologia, Whirlpool è in grado di produrne di categoria A++, cioè ad alta efficienza energetica e perciò di grande risparmio». Lignano, dalla sua nuova posizione da "esperto" ricorda inoltre anche l’altro valore aggiunto per ricerca e tecnologia fornito da due altre importanti industrie varesine: Agusta e Aermacchi. «Centri di ricerca e innovazione importanti per l’industria aerospaziale e, come Whirlpool, generatori – e collettori – di innovazione anche per le aziende dell’indotto a loro collegate».
Una risorsa preziosa, quella delle grandi aziende del territorio dove si sviluppa innovazione tecnologica, ma non unica e non a beneficio esclusivo delle aziende dell’indotto: «Siamo leader in Italia nella ricerca per le industrie, ci occupiamo solo di quello da 15 anni – spiega Federico Giua, chief executive di MR &D Institute, società gallaratese che si occupa di consulenza per l’innovazione e la tecnologia aziendale: cioè, esegue in esterno ricerche per le aziende che non hanno centri ricerca integrati – abbiamo 100 dipendenti, (e per le società simili che esistono all’estero è pochissimo), ma qui è un numero molto grande. Ma la nostra maggiore difficoltà, spesso, è quella di far capire che una realtà come questa esiste, e che può essere sfruttata. Gli imprenditori hanno ancora una mentalità molto concentrata all’interno dell’azienda, e non cercano fuori sinergie».
Il sospetto che le aziende siano un po’ "autocentrate" malgrado gli strumenti a disposizione, come ha segnalato il manager di MR &D Institute, in effetti c’è: ma non può essere solo quello il problema.
Chiaccherando con la direttrice del CentroCot, Maria Grazia Cerini, qualcosa però comincia ad emergere: «Noi realizziamo due corsi del tutto identici, praticamente paralleli, che attengono all’innovazione sull’industria tessile: uno è finanziato con i fondi di Fondimpresa , l’altro di con quelli di FondApi. Va da sè che la cosa più razionale – ed efficente economicamente, per Centrocot – sarebbe riunire tutti i corsisti in un’iniziativa sola. Questo però non è possibile, perchè mi è stato fatto capire che sarebbe troppo difficile spiegare agli associati perchè lo stesso corso coinvolga sia una associazione che l’altra, con fondi comuni». Api, una delle associazioni coinvolte in questa "duplicazione di corsi", non nega e anzi specifica, per bocca del suo presidente Franco Colombo: «E’ difficile portare avanti un progetto comune, perchè ognuno finisce per avere come priorità quella di portare avanti i propri interessi associativi – spiega senza mezzi termini – Le rendite di posizione superano l’interesse generale».
Eccolo, il problema. Un problema che – beninteso – non è tipico solo delle associazioni di categoria. Interpellato sulle possibilità di dialogo tra Regione e imprenditori per far ripartire alcuni settori dell’industria, così come auspicato nel dibattito svoltosi durante l’assemblea Univa, il direttore della sede varesina della Regione Lombardia, Marcello Lenzi, si è espresso così: «La Regione in questi casi agisce di concerto e su consiglio delle realtà locali, non è giusto che prescinda da loro: questo però significa coinvolgere e ottenere l’assenso delle realtà locali territoriali ed economiche prima di procedere ad iniziative. Certi tavoli di concertazione sembrano invece più vissuti come un’alternativa ad altri tavoli che come un luogo dove far convergere le esigenze del territorio e poi portarle in sede regionale».
Alla faccia dell’altra "parola d’ordine" uscita dall’assemblea Univa, quella dell’"economia coalizionale" auspicata da Aldo Bonomi.
L’impressione finale, dunque, è che qui non manchino strutture e fondi, quanto piuttosto l’humus adatto per lavorare insieme. Forse anche per questo Montezemolo era nel posto giusto quando ha detto che "le terapie devono partire da qui": qui infatti ci sono tutti i mezzi per farlo. Si tratta solo di aggiungere agli strumenti anche la volontà di utilizzarli in comune, facendo quel "passo indietro" a favore dell’"orgoglio generale" che consente il vero gioco di squadra.
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