La scuola sulla memoria della shoah ha fallito ancora

Rappresentare la shoah fino a cristallizzarla, alla lunga, potrebbe far dimenticare i pregiudizi che l'hanno generata

ebrei ghetto varsavia

Ha ragione il signor Mattia Lehmann (leggi la lettera al direttore del 28 gennaio). La scelta della scuola media di Tradate di ricostruire il campo di sterminio nazista è stata una scelta infelice. Alcuni insegnanti da anni si interrogano su come trasmettere la memoria della shoah senza scadere nella rappresentazione dell’orrore che in alcuni casi (ahimé) puo’ rasentare il ridicolo. Il fatto che alcune università abbiano istituito master nella didattica della Shoah e il 27 gennaio il rettore dell’università dell’Insubria abbia lanciato l’idea di istituirlo anche nell’ateneo varesino, vuol dire che c’è l’esigenza di rientrare in una dimensione più razionale e meno emotiva. Per ricucire la ferita profonda tra la storia e l’uomo, rappresentata dalla shoah, non si può far leva solo sul senso di colpa o sulla rappresentazione iperrealista del dolore.

La domanda che si dovrebbe porre una scuola riguarda certamente come trasmettere agli studenti la memoria del genocidio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, ma soprattutto come rendere attuale la lettura di quei tragici avvenimenti. Perché un ragazzo oggi si sente autorizzato a dare alla parola ebreo un contenuto negativo? Perché il pregiudizio antiebraico ritorna ciclicamente? Perché cresce il sentimento razzista verso il diverso, vedi gli immigrati? Secondo un recente sondaggio di Renato Manneheimer, il 44% della popolazione italiana mostra qualche pregiudizio o atteggiamento ostile agli ebrei. Questo vuol dire che la scuola italiana ha fallito perché non è riuscita a scardinare un pregiudizio. Eppure di tempo, dal 1945 ad oggi, ne ha avuto molto.

Ricordare ciò che è stato perché non accada mai più è un’altra bella affermazione di sostanza, degradata con il tempo a luogo comune. La memoria è il punto di inizio (importante) di un percorso più complesso. Otto anni fa Nedo Fiano, ebreo italiano deportato e sopravvissuto al campo di sterminio nazista, in un’intervista mi raccontò, indignato e stupito, che una nota enciclopedia alla voce Auschwitz riportava questa definizione: «Luogo di detenzione dove vennero internati gli ebrei per tutta la guerra». Come è possibile che quella voce sia passata indenne da schiere di lettori, comitati scientifici e tromboni accademici?

Di immagini dell’orrore nazista, filmati, ricostruzioni e fiction ce ne sono in abbondanza. Manca invece una riflessione più profonda, capace di andare oltre l’emotività di un giorno. Una riflessione, appunto, che dia risposte utili agli adolescenti nella vita di tutti i giorni.
Rappresentare la shoah fino a cristallizzarla, alla lunga, potrebbe far dimenticare i pregiudizi che l’hanno generata.

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 28 Gennaio 2009
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