Fontana: “Premiata una linea difensiva coerente”
Così il legale dell'ex sindaco Tosi commentando la sentenza d'appello che assolve gli imputati. "La missiva inviata da Busto per noi non era ammissibile, e la corte ci ha dato ragione"
La sentenza di piena assoluzione in appello per gli imputati nella vicenda detta dei "super stipendi" lascia evidentemente soddisfatte le difese. Spiega l’avvocato Attilio Fontana: «La richiesta di un rinvio avanzata dal pg per esaminare quanto posto all’attenzione della corte dal Comune di Busto Arsizio per noi era inammissibile, tanto più che non proveniva da una parte direttamente interessata. La lettera era siglata dal segretario generale, non dal sindaco». La corte ha dato ragione ai legali; a quel punto, riferisce Fontana, è stato lo stesso pg a richiedere una conferma della prima sentenza. «Le motivazioni recentemente addotte dalla Cassazione per il proscioglimento di altri due ex assessori della giunta Tosi, la cui posizione era stralciata a parte, sono di fatto le stesse già ritenute fondate in tutti i gradi di giudizio. Si tratta di tesi che con i colleghi avevamo sempre sostenuto, fin dall’inizio quando avevo depositato una memoria in tal senso». Una sentenza che farà tirare un sospiro di solllievo a più di un amministratore locale quella della corte d’appello milanese, in quanto fungerà da precedente, almeno sul piano penale. Oltretutto, una sentenza che di certo giunge a rasserenare la Lega Nord, partito di Gianfranco Tosi e di vari imputati, ma anche dello stesso Fontana esponente del Carroccio nonché sindaco di Varese.
Il fatto non sussiste, escluso dunque ogni dolo nella vicenda: «ma certamente» commenta il segretario e direttore del Comune di Busto Arsizio Giacomo Rossi, contattato per chiarimenti sulla missiva citata in aula dal pg Griguolo, «avessimo pensato altrimenti ci saremmo dovuti costituire parte civile». La missiva inviata alla corte d’appello, e per conoscenza alla Corte dei Conti, non presentava infatti novità di rilevanza penale ma quanto in essa contenuto «poteva influire sulle motivazioni citate». Quelle della Cassazione infatti «non hanno alcun riscontro nei nostri atti in autotutela» osserva il segretario «e suscitano qualche perplessità anche sui riferimenti normativi. Si è andati a verificare la correttezza formale degli atti piuttosto che la presenza di un dolo nei medesimi. Questo non c’era: le delibere che stabilivano quei compensi non avevano quindi rilievo penale, ma non per questo si devono considerare di normale amministrazione».
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