Marchionne: “La Fiat si è salvata perché abbiamo realizzato il cambiamento”

Il manager della Fiat ha presentato al Lingotto il nuovo libro di Mario Calabresi "La Fortuna non esiste" (Mondadori). «Abbiamo dato tecnologia già utilizzata alla Chrysler in cambio di azioni»

marchionne sergio

 Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, il giorno prima della manifestazione dei metalmeccanici a Mirafiori, è al Lingotto di Torino per presentare il nuovo libro di Mario Calabresi. Il direttore de “La Stampa“, fresco di nomina, non dimentica il suo ruolo di giornalista e gli rivolge la domanda che tutti avrebbero voluto fare: se e quando incontrerà il ministro Scajola e le parti sociali. «Ci sarà un incontro quando avremo le idee chiare – risponde l’ad della Fiat – Questa è una partita che si gioca a livello europeo e quindi bisogna inquadrarla a un livello più alto. Tener conto solo delle condizioni italiane non serve a nulla». (foto, da sinistra: Marchionne e Mario Calabresi)

Marchionne, in questo momento, è più importante di un ministro degli Esteri, non solo per la partita economica che sta giocando, ma per la sua profonda conoscenza dell’establishment americano. Ragiona e parla come uno di Detroit (dove andrà ad abitare), per di più senza accento, perché la sua formazione è intrisa di quella cultura. Come Barack Obama, presidente degli Usa, ama il team, il lavoro di squadra. E infatti appena entra nella Sala Azzurra del Lingotto il primo che abbraccia è uno dei suoi più stretti collaboratori protagonista della rinascita della Fiat, che cita a più riprese durante la serata.

Marchionne è sobrio nel vestire e nelle parole. È pragmatico al limite della timidezza. Non dà l’idea di essere l’uomo del momento, la testa da cui dipendono i destini dell’industria automobilistica europea. Si muove con una logica americana più che italiana, più calvinista che cattolica. E quando racconta la sua esperienza Oltreoceano si capisce che l’ideale di Stato e di modello sociale ed economico che ha in testa è a stelle e strisce. «Un giorno mi trovavo seduto sulle scale dell’ufficio del Tesoro a Washington – racconta Marchionne -. Era una delle pause della trattativa e mi stavo fumando una sigaretta. Davanti a me avevo uno della task force di Obama, un ragazzo che a 44 anni aveva lasciato un lavoro strapagato a Wall Street per cercare di salvare il Big Three di Detroit (General Motors, Ford e Chrysler, ndr) dal tracollo. E gli ho chiesto chi glielo avesse fatto fare. Lui mi ha risposto che un giorno sulla sua tomba avrebbe voluto la scritta “Ha fatto una differenza”. Un’umiltà e un modo di lavorare che ci vorrebbe anche in Italia».

Marchionne mostra sincera ammirazione per la storia di Obama: «Uno che è partito da zero e che fino a dieci anni fa era sconosciuto e su cui nessuno avrebbe scommesso un dollaro sul fatto che sarebbe diventato presidente». Quando Obama fece il discorso nella notte dell’elezione, lui si trovava a New York, dove stava già trattando l’affare Chrysler. Ma quel discorso gli è rimasto dentro, tanto da leggerne in inglese una parte. «Obama è il prodotto culturale di un’America che sa cambiare» dice alla fine della lettura.

Lui, a cambiare la Fiat, ci ha provato e ci è riuscito cinque anni fa: «Appena arrivato a Torino abbiamo tolto i vecchi dirigenti perché erano incrostati nel sistema, erano il colesterolo nelle vene dell’azienda». E quando Calabresi chiede particolari del «salvataggio» della Chrysler, Marchionne precisa che «salvare» non è la parola giusta. «L’intesa con Chrysler – ha spiegato il manager – è nata perché loro avevano bisogno di assistenza tecnica e noi gli abbiamo fatto vedere motori e macchine della Fiat e poi gli ho fatto la proposta: noi vi diamo tecnologia in cambio di azioni Chrysler che non valevano nulla. Il mercato americano cercava tecnologia già utilizzata e questo ci ha dato un vantaggio».

La speranza di Obama in qualche modo lo ha contaminato perché sulla crisi Marchionne risponde con molta sicurezza: «In America la discesa è finita quindi il fondo è stato toccato e il peggio è passato. Non so però a che velocità si risalirà. In Europa ognuno se ne uscirà per conto suo, in ordine sparso».

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Pubblicato il 16 Maggio 2009
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