Imprese al cardiopalma, 6 mesi per non chiudere

Secondo alcune analisi rischiano 2mila aziende, con 5mila addetti. Gli ordini potrebbero ripartire nel 2010, ma bisogna aiutare gli imprenditori a resistere

L’economia italiana ripartirà quando ripartirà quella mondiale, e cioè quando ritorneranno a fioccare gli ordini. Le analisi dell’economista Giacomo Vaciago, oggi su La Stampa, sembrano fatte apposta per le orecchie degli imprenditori varesini. Secondo lo studioso, Italia, Germania e Giappone, sono i tre paesi a maggiore struttura industriale, che hanno i loro destini legati alla ripresa della macchine industriali in Asia e America. L’argomento è cruciale per tutte le imprese, soprattutto le piccole, di Varese, che qualche giorno fa hanno espresso a Jerago con Orago un monito preciso. O cambia l’aria, o un autunno si chiude.

Gli ordini arrivano a singhiozzo, senza lungo periodo, e in questo quadro le imprese hanno bisogno di credito per pagare fornitori e stare in piedi in attesa di pagamenti spessi ritardati. Imprenditori in lacrime, che parlavano di avere avuto il  90% in meno di fatturato nei primi mesi del 2009. Vaciago esprime un concetto semplice: in Asia, a fine anno, qualcosa ricomincerà a muoversi, ed entro un anno è ragionevole pensare che gli ordini ripartano. Ma nel frattempo bisogna che qualcuno aiuti le imprese a stare in piedi. Alberto Vanzini, l’imprenditore di Jerago che ha portato in Lombardia il gruppo “Imprese che resistono”, nato in Piemonte, ha proprio questa visione.

La sua è una azienda meccanica, e lavora prevalentemente come terzista, con varie specialità. Da qualche mese, la riduzione del lavoro delle imprese più grandi, a cascata, ha fatto sì che i suoi operai (meno di venti) si siano fermati più volte con le mani in mano. “Piuttosto che chiudere uso i miei soldi, ma non posso durare a lungo” spiega. A Jerago la sua situazione è simile a quella di molti altri. 57 aziende ogni chilometro quadrato, una partita Iva per ogni famiglia. “Ci sono molti terzisti che lavorano per le stamperie di ferro e acciaio di Solbiate Arno, queste sono in cassa integrazione e il lavoro di conseguenza è mancato anche a noi”.
La tragedia dell’indotto, meno protetto, ma lo stesso in grave difficoltà, è in questo momento sui tavoli di tutte le istituzioni e associazioni varesine: dalla Camera di Commercio, a Confindustria, Confartigianato, Cna, Confapi e i sindacati, che lamentano ricorsi alla cassa integrazione mai visti prima.
 

A Jerago i piccoli imprenditori lamentano di avere chiesto degli anticipi alle banche per i versamenti Inps e di essersi sentiti rispondere che devono versare interessi del 12,5 per cento.
Emma Marcegaglia ha dato cento giorni
al governo per valutare se vi saranno misure realmente efficaci nei confronti dell’industria in crisi, e sul territorio il refrain è questo. «Stando alle nostre indagini – ha dichiarato Giorgio Merletti presidente dell’Associazione Artigiani di Varese – saranno 2000 le aziende che non ce la faranno in provincia, per un totale di circa 5000 addetti». I sei mesi che ci attendono sono quelli decisivi. Resistere in qualche modo, o morire. Ed in questo contesto che la Cna, ad esempio, attacca  Gerico, software che governa «il calcolo di congruità» degli studi di settore, e quindi le tasse che pagheranno: «Nel 2009, faranno pagare più tasse alle imprese che nel 2008 – ha denunciato Daniele Parolo, presidente di CNA Varese – Nella situazione in cui siamo, è un drammatico controsenso».

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Pubblicato il 18 Giugno 2009
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