Referendum e ballottaggi, aperte le urne

La consultazione referendaria è oggetto di disinteresse e pochi entusiasmi, mentre per i ballottaggi tra destra e sinistra si annuncia uno scontro durissimo. Al voto anche Saronno e la provincia di Milano

Domenica 21 e lunedì 22 giugno i cittadini saranno chiamati alle urne per esprime il proprio parere sul referendum abrogativo della legge elettorale e per stabilire in 22 province (tra cui Milano e Torino) e 102 comuni superiori (di cui 16 capoluoghi comprese città come Bologna, Firenze, Bari e Padova oltre alla “nostra” Saronno) chi sarà sindaco e presidente di provincia. Tra centrosinistra e centrodestra è battaglia durissima. Di 62 province, il centrosinistra ne aveva 50 e il centrodestra 8 (una era amministrata dalla Lega Nord, tre votavano per la prima volta perché di recente costituzione). Dopo il primo turno l’opposizione nazionale ne ha tenute appena 14 mentre i partiti di governo sono saliti a quota 26. Su 30 comuni capoluogo il centrosinistra ne governava 25 e ne ha conservi appena 5. Il centrodestra è già salito da 5 a 9 e punta ad altri ribaltoni.

Il quesito referendario chiede ai cittadini di decidere se abrogare alcune parti dell’attuale legge che regola i meccanismi di voto. Una materia che risulta spesso complicata ma che è in realtà fondamentale per determinare la rappresentanza parlamentare delle forze partitiche.

Il referendum su cui ci si dovrà esprimere domenica nasce in realtà nel 2007 quando un gruppo di promotori, tra cui spiccano i nomi di Mario Segni e Giovanni Guzzetta hanno raccolto le firme necessarie. A complicare le cose c’è quindi il fatto che è stato promosso in tutt’altro contesto politico rispetto a quello odierno. L’iniziativa referendaria era nata infatti dalla volontà di modificare la legge elettorale di Calderoli del 2005, il famoso “Porcellum”, che aveva determinato una situazione di ingovernabilità per l’esecutivo di Romano Prodi uscito vincente dalle elezioni del 2006. La fiducia del Governo in Parlamento si reggeva infatti su un solo voto di scarto sullo schieramento opposto e una miriade di piccoli partitini. Una situazione che spesso ha bloccato i lavori in Parlamento e di conseguenza dell’esecutivo stesso. Da qui l’esigenza di semplificare l’iniziativa parlamentare attraverso il cambiamento della legge elettorale. Il referendum infatti ne modifica alcune parti attraverso 3 diversi quesiti.

Il risultato che si verrebbe a determinare dalla vittoria dei si è sostanzialmente questo: con i primi due quesiti, il primo riguardo alla Camera e il secondo al Senato, gli sbarramenti per accedere al parlamento rimarrebbe quelli attuali, 4% alla camera e 8% al Senato, ma scomparirebbe la possibilità per i partiti di unirsi in coalizioni. Ogni partito pertanto si dovrebbe presentare da solo alle elezioni e cercare di superare con le proprie forze lo sbarramento. Il premio di maggioranza verrebbe così assegnato al partito che ha ricevuto il maggior numero di consensi che otterrebbe il 55% dei seggi parlamentari.
Il quesito numero 3 riguarda invece le candidature multiple in più collegi. La vittoria del si le vieterebbe e i candidati si dovranno così presentare in un solo collegio.

Spiegato ai digiuni di politica la vittoria del referendum significa sostanzialmente che il partito più forte comanda. Ed è questo il vero nodo che agita il mondo della politica, poiché metterebbe in discussione tutte le alleanze. Appare chiaro che se un partito ottiene da solo le forze necessarie per governare sarebbe meno interessato a trovare mediazioni con altri partiti, se non per questioni veramente importanti che richiedono una maggioranza molto elevata per la loro approvazione.
Il partito più preoccupato è naturalmente la Lega Nord, che rischierebbe così di vedere diminuito il proprio peso politico nei confronti del Pdl, il maggiore partito di centro-destra, e che punta quindi all’astensione. Il Pdl stesso è invece per il si, secondo le dichiarazioni dei suoi maggiori esponenti da Berlusconi a Fini, ma non si è impegnato per la promozione del voto a seguiti di un accordo con la Lega, che altrimenti avrebbe disertato le urne ai ballottaggi delle amministrative. Il Partito Democratico sostiene la vittoria del referendum, in virtù della scelta di modificare l’attuale legge considerata «una porcata». L’Italia dei Valori è deciso invece per il no alle votazioni di domenica con la motivazione che «è necessario modificare l’attuale legge ma affidare il potere a un solo partito è antidemocratico». L’Udc è assolutamente contrario e fa propaganda per l’astensione. Tutti gli altri partiti, piccoli o medio-piccoli, sono naturalmente contrari.

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Pubblicato il 21 Giugno 2009
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