Manager indiani a lezione di flessibilità

E' quello che è successo a circa venti manager che stanno frequentando il Master in management of globally distributed work, realizzato da SDA Bocconi in collaborazione con l'indian Institute of management di Bangalore

Dall’India a Brunello per imparare la flessibilità italiana. E’ quello che è successo a circa venti manager, provenienti prevalentemente dal settore informatico e telecomunicazioni, ma con esperienze anche nel marketing e in vari ambiti produttivi, che stanno frequentando l’Advanced Masters Program in Management of Global Enterprises (AMPM), organizzato dalla Scuola di Management dell’Università Bocconi e dall’Indian Institute of Management di Bangalore (IIMB).  

Un programma di formazione manageriale che ha come obiettivo quello di far conoscere il mondo delle imprese degli altri continenti ai manager asiatici, sempre più vicini ai mercati occidentali, ma ancora molto differenti per cultura di impresa. L’IIMB è uno dei più prestigiosi, e più cari, istituti di formazione del paese: i 18 manager selezionati tra numerose richieste, arrivano dalla filiale di Mauritius di Accenture, piuttosto che da quella di Bangalore della Intel, dalla filiale Giapponese della Tata piuttosto che da quella sudcoreana della Samsung o di quella di Hyderabad della Microsoft. «A spese della azienda, spesso, ma anche spesso a spese proprie – spiega Paola Bielli, coordinatrice del corso in SDA Bocconi – Per poter frequentare un corso che loro ritengono fondamentale per le loro possibilità di carriera accedono a prestiti o si fanno aiutare dalla famiglia». 

manager indiani alla Elmec di BrunelloMa cosa ci facevano i manager indiani a Brunello? Seguivano un particolare caso aziendale, quello della Elmec. Sede a pochi chilometri dall’aeroporto internazionale di Malpensa, vicino al confine svizzero, in dialogo con l’Italia produttiva più conosciuta nel mondo (da Ermenegildo Zegna alla Campari, dalla Barilla alla Ferrari), 40 anni di esperienza nel settore dei computer e dei servizi informatici (il che la rende pressoché storica, tant’è vero che nei locali della società c’è anche un museo di retrocomputing) e 460 dipendenti per un’azienda che fattura oltre 100 milioni di euro l’anno. Elmec rappresenta per il manager straniero l’icona del mistero italiano: come si fa ad essere piccoli (per i parametri internazionali, naturalmente) e altamente innovativi, vocati al rapporto one-to-one con il cliente e al tempo stesso organizzati, altamente specifici e ugualmente pronti per il mercato globale. E il segreto, a quanto sembra, sta in un concetto: flessibilità organizzata. 

«La flessibilità e la possibilità di personalizzare ogni ordine è una necessità tutta italiana, e nasce proprio dalle esigenze del cliente – spiega Rinaldo Ballerio, presidente dell’azienda – In Italia ognuno ha una richiesta precisa. Per usare termini gastronomici, il modello americano ricorda Mac Donald’s: dove viene promesso di realizzare il prodotto sempre, dovunque, con lo stesso gusto e la stessa qualità, pronto da mangiare. Sono delle qualità oggettive, non c’è niente da dire. Ma per gli italiani non è sufficiente e la richiesta è totalmente diversa. La promessa che un ristoratore italiano fa al suo cliente è: solo qui, solo per oggi, realizzato secondo il tuo gusto, cotto al momento. Perché tutti noi italiani vogliamo essere speciali: ogni cliente è un mercato a sé. Questo ci permette di essere molto bravi nella gestione delle urgenza, magari un po’ meno nella pianificazione». 

Un concetto non facile da comprendere per chi lavora in grandi aziende e su grandi numeri, come i “rampanti” indiani, che in più di una domanda hanno abbinato flessibilità e caos, personalizzazione e improvvisazione. «In realtà flessibilità non significa affatto caos, o scarsa qualità – ha chiarito  Ballerio – soprattutto nel settore informatico.  Significa al contrario un prodotto meno generico e più “tagliato su misura”del cliente. Per noi flessibilità senza competenza tecnologica non ha senso. Senza un’accurata pianificazione dell’evoluzione dei profili tecnologici e della crescita delle competenze informatiche e di rete noi non possiamo operare. Nei servizi informatici non c’è il prodotto cattivo o meno bello: prodotti così vanno subito fuori mercato. Tornando ai paragoni gastronomici,  in Italia se si va in pizzeria ci sono decine e decine di pizze diverse nel menu. E, malgrado ciò, c’è ancora la possibilità di personalizzare. Ma quando chiedo “una pizza margherita con doppia mozzarella” non mi sogno nemmeno di  aggiungere: “che sia buona lo stesso, però”: questo è implicito nel prodotto italiano. La qualità è un presupposto che non si rimette in gioco». 

Un concetto difficile da spiegare ad altri modelli economici, ma che fa ancora la differenza per tanto “made in Italy” non solo nella moda e nel tessile, ma anche in settori come la meccanica o l’arredamento. Si tratta quindi di: «Una importante occasione per i manager orientali che, muovendosi nei grandi numeri,  hanno bisogno di distinguersi per costruirsi un curriculum professionale di valore internazionale». Ha spiegato la docente della Bocconi.  Tant’è vero che, dopo la pioggia di domande particolareggiate sull’argomento flessibilità, uno di loro ha domandato come funziona il mercato del lavoro in Italia: forse per comprendere meglio le possibilità che offre un posto tanto diverso e tanto difficile dal resto del mondo, ma mille volte più creativo, stimolante e, in fondo, umano.

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Pubblicato il 01 Dicembre 2009
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