Il made in Italy? “Lo stanno uccidendo”

L'appello di Ettore Guarneri di Ceam, il consorzio altomilanese per l'export. Oggi non sono più tempi da "principi mercanti" una concorrenza impossibile e legislazioni allegre affossano la produzione nostrana

Quanta nostalgia, diciamolo, per quel 1910 in cui Enrico Dell’Acqua prematuramente lasciava questa valle di lacrime, risparmiandosi di assistere allo scandalo della guerra mondiale. Allora l’economia "tirava" come una locomotiva, Busto ferveva di opifici pieni di ex contadini indaffarati, l’Italietta giolittiana fremeva insoddisfatta dello status quo ma almeno nel Nordovest era ben avviata la rivoluzione industriale: e il futurismo già era pronto a celebrarla con le sue provocazioni.
Oggi è crisi nera, nerissima, locale, nazionale e globale: come se il mondo intero, salendo le scale a rompicollo, avesse picchiato la testa contro un tetto invisibile.
C’è tutta la sofferenza delle aziende di oggi nell’appello di Ettore Guarneri, il presidente di Ceam (Consorzio Export Alto Milanese), che ha "per vocazione" quella di ripercorrere le orme del "principe mercante".
«I più autorevoli depositari del marchio made in Italy lo stanno uccidendo» denuncia. «Enrico Dell’Acqua, che andava in piroscafo fino in Argentina e Brasile, oggi cosa dovrebbe fare? Far fabbricare i tessuti in Cina o in India e mettergli l’etichetta made in Italy qui, prima di poterli rivendere in Sudamerica». Le norme europee non aiutano: «Vi si legge che puoi dire che è made in se vengono effettuati parti rilevanti di lavorazione… in Italia sapete cosa si fa? Si stira il prodotto, ed è tutto». E si mette l’etichetta. «Sperando che almeno quella sia fatta in Italia». Le aziende nei paesi di nuova industrializzazione non hanno o quasi costi sindacali, ambientali, di rispetto delle normative, ricorda Guarneri: e si dovrebbe competere con loro, a livello globale… Da queste preoccupazioni nascono iniziative legislative come quella che il deputato Marco Reguzzoni sta portando avanti a Roma per disciplinare proprio l’uso della dicitura made in Italy.
Il mantra del liberismo si scontra con i suoi limiti per la parte perdente: che stavolta, siamo noi.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Gennaio 2010
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