Don Gallo fa il pienone
Più di duecento persone a seguire il sacerdote genovese e i suoi racconti di una vita a fianco degli ultimi, nel segno del "quinto Vangelo": quello secondo Fabrizio De André
Successo e sala comunale strapiena per la serata che a Vanzaghello, su invito dell’amministrazione, ha visto mattatore don Andrea Gallo, instancabile animatore della comunità di San Benedetto al Porto a Genova, che presentava il suo libro "Così in terra come in cielo". Alla fine, tutti in coda per un autografo, una foto, una stretta di mano, un parere. Una vera star, insomma. Non una presentazione standard, ma tre ore filate di racconti, a tratti di vero spettacolo quasi teatrale, per raccontare, fra divagazioni, invettive, appelli, aneddoti, letture, le storie di chi in ottantadue anni ne ha viste tante, e non ha più paura di nulla. Soprattutto, di dire quello che pensa. Anche della sua Chiesa, che «con Gesù non deve parlare, se non ascolta; e non deve giudicare, se non accoglie». E non deve nascondere che «il primato della coscienza individuale è dottrina ufficiale fin dal Concilio Vaticano Secondo».
Un racconto che fluisce inarrestabile il suo, saltando di palo in frasca, con la forza della vita che questo prete anziano esibisce passando la serata in piedi, camminando avanti e indietro, rivolgendosi direttamente al suo uditorio, un po’ come l’amico Beppe Grillo, giusto senza urlare e senza vaffanc…
Per raccontare vicende che affiorano dalla sua lunga esperienza, dai tempi della Resistenza al Sessantotto («è grazie a quello se oggi c’è un Obama») di cui ancora ricorda Mario Capanna («un vero leader») e il sacrificio di Jan Palach a Praga («se non è un martire lui…»); al G8 di Genova 2001, cui già aveva dedicato in passato parole durissime contro la repressione poliziesca. Come duri sono i giudizi sul respingimento dei migranti, sul capitalismo che «promuove nel mondo la libera circolazione delle merci ma non delle persone», perchè le prime valgono più delle seconde, e «per il potere chi non è produttivo deve essere cancellato». Fino alle processioni dei disoccupati dietro San Precario, con don Gallo a guidare le giaculatorie per lo scandalo (l’ennesimo) dei superiori. Con i quali il rapporto non è facile, ma non è mai venuto meno: «Gesù cosa avrebbe fatto?» «Ah, se la metti su questo piano…» Al pacifismo, come quando aprì la sua porta a un militare evaso da Peschiera dopo aver rifiutato di attaccare dei contadini in agitazione, o rabbrividì, decenni dopo, sentendo lodare la "missione di pace" in Iraq dal suo direttore superiore, ordinario militare. Ai tagli della crisi che arrivano fino all’unità di strada della comunità di San Benedetto al Porto: «Ma come si fa… ci dicono uscite non più due volte la settimana, ma tre volte al mese…»
Un’attività con gli ultimi che ha fruttato molti interessanti incontri con i primi, quella di don Gallo: da Manu Chao con la sua generosissima donazione alla comunità, a registi come Monicelli e Scola, al… principe ereditario musulmano di un petro-staterello del Golfo Persico venuto, sissignori, a trovare il sacerdote.
E tanti, tanti altri racconti, su quello che vuol dire essere prete "di frontiera", "quello" degli emerginati, dei drogati, dei trans, dell’umanità varia e più o meno dolente che bazzica i bassifondi di una città porto di mare da tempi non sospetti.
«Ogni film ha la sua colonna sonora» dice, «la mia, è Fabrizio De André». Che per don Gallo ha scritto a modo suo un quinto Vangelo canonico, a suon di poesie e canzoni, lui cresciuto borghese raccontando le vite degli umili, «coniugando inquietudine spirituale a tensione per la giustizia sociale». Un’ispirazione irrinunciabile quella dell’amico e concittadino "Faber", che con il suo "in direzione ostinata e contraria" «ha sintetizzato i Vangeli in una frase».
E le lettere dei tanti che gli scrivono, il disoccupato, il giovane sbandato, la ragazza, l’omosessuale che cerca un compagno per dare un senso alla vita e chiede di pregare per lui (vera! e letta in sala), di tutto, di più. Il riso, e il pianto, dell’esistenza; lui, crocevia di vite, "prete da marciapiede", scomodo, "anarchico" – «anch’io butto le bombe, ma nelle coscienze» – con il suo sigaro e le parolacce, il linguaggio della sua turba di "marginali" tra i quali, modestamente, cerca di portare il Vangelo.
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