L’esempio del rugby inglese

Sabato 26 torna il Sei Nazioni a due settimane dalla travolgente vittoria britannica sugli azzurri. Ecco come e perché è rinato il XV della Rosa, mentre l'Italia continua a deludere

jonny wilkinson rugbySabato prossimo (26 febbraio), dopo la pausa di una settimana, torna il Sei Nazioni di rugby, ma occorre passare la palla indietro.

Inghilterra-Italia, partita del Sei nazioni 2011, sonora sconfitta italiana. La settimana prima qualcuno spendeva elogi per la quasi vittoria dell’Italia sull’Irlanda e poco dopo si narra in maniera umorale il fallimento del rugby italiano, tutto così in fretta? La forza del rugby è quella palla che si passa solo indietro, perché per costruire il futuro si deve considerare il passato, ed ogni partita inizia con un calcio, quasi a dirci, ogni volta, che da lì nasce il rugby, nel 1823, nell’omonima città. Narra la leggenda che durante una partita di calcio W. W. Ellis prese la palla in mano e corse nel futuro depositandola oltre una linea, la meta. Pochi sanno che il pastore Ellis giace nel cimitero di Mentone al confine con l’Italia… Chissà!? Oggi il rugby è, da quella aberrante infrazione alle rigide regole del football, avanzare, su tutti i punti di lotta collettiva e individuale…
Per fortuna il rugby è storia e non cronaca, e chi si ferma alla cronaca, al qui ed ora, non costruisce senso e pensiero rugbistico. La storia di Italia-Inghilterra, se la vogliamo e sappiamo leggere, ci dice molto, forse anche troppo, di cosa è o non è rugby. Jonny Wilkinson (foto) entra a venti minuti dalla fine, è uno dei più vecchi della sua squadra, campione del mondo, personaggio di livello planetario; l’Inghilterra sta già stravincendo la partita, a settembre ci saranno i mondiali e lui sogna di tornarci, ma non si risparmia, rischia una spalla, già rotta diverse volte, per impedire a Masi un’inutile, ai fini del risultato, segnatura. Si dice che «la forza di una squadra si misuri nella ferocia di come si arriva su tutti i punti di incontro» e l’Italia nei punti di lotta ha sempre perso…
Esattamente un anno fa l’Inghilterra rischia una clamorosa sconfitta al Flaminio, giocando un pessimo rugby e suscitando le critiche sulla stampa sul nuovo allenatore ed il suo staff, su un modo di fare rugby poco inglese. I giornali britannici criticano apertamente il proprio coach, ma lui si dichiara sereno, del resto il Quindici della rosa è ancora un cantiere e presto i lavori saranno finiti: pazienza, obiettivi chiari e fiducia da parte della federazione inglese. Intanto però nel campionato inglese si decide di giocare come vuole la nazionale, gli arbitri applicano regole per favorire il gioco, si punisce tanto chi rallenta il gioco e si lascia giocare il più possibile: tutto ciò si traduce in un progetto globale condiviso, che ha come macro-obiettivo la conquista del Mondiale in Nuova Zelanda.
Riassunto: tenacia, come quella di Wilkinson, voglia di costruire con i tempi necessari, talenti, come quelli che si creano nei vivai, parlare lo stesso linguaggio nel campionato inglese, la storia vissuta come uno strumento e non una gabbia, il pragmatismo di coach Martin Johnson, tipico della nazionale inglese, lui, non a caso, capitano della squadra che vinse il mondiale . La giusta strada per candidarsi ad essere una delle squadre da battere nel torneo iridato, passando per sconfitte e momenti bui, perseverando nella convinzione che il proprio sia un buon progetto.

Il problema dello sport italiano è quello di dare importanza solo ai risultati e non al percorso che porta alle eventuali vittorie, manca la cultura del progettare e di conseguenza non si considerano le sconfitte come parte di un percorso di crescita. La nostra U20 prende, nello stesso fine settimana, 73 punti dai pari età inglesi, eppure ha un bravo allenatore, Cavinato, e buoni talenti: molti di loro in Italia giocano in serie B, o fanno panchina in A, gli “inglesini” sono tutti titolari nei club di massimo livello. Chi crede, o credeva, che per arrivare in alto nel rugby bastavano solo i denari oggi si dovrà certamente ricredere, perché pagare i giocatori italiani come quelli stranieri e qualcuno anche di più, non ha corrisposto ad ottenere gli stessi risultati, pur facendo gli stessi allenamenti, avendo a disposizione le medesime strutture e allenatori qualificati.
Dov’è il valore aggiunto? Storia, organizzazione, pensiero, cultura e coraggio: forse, come dice qualcuno, il rugby non è sport per italiani, per altro pochi in nazionale, ma il problema è che una partita di rugby ci lascia sempre significati profondi e dobbiamo avere la pazienza e l’umiltà di leggerli prima che guardare le statistiche. Per fare un esempio a noi vicino, il più grande successo del progetto Varese calcio non è avere la squadra tra le prime in serie B, ma una Primavera che si presenta come squadra da battere al prestigioso Torneo di Viareggio e qui davvero bisogna complimentarsi.
La differenza tra il rugby inglese e quello italiano sono i 73 punti a 3 che ha rifilato l’U 20 inglese ai pari età italiani nel Sei Nazioni di categoria; la differenza tra il rugby francese e quello italiano è che un corso di formazione per allenatori e giocatori tenuto da un tecnico francese si chiama "il piacere del movimento", quello tenuto da un oriundo italiano "Dominguez Camp"; la differenza tra il rugby neozelandese e australiano e quello italiano è "il rugby", che è un po’ come dire, che alcuni pensano a fare cronaca ad altri importa rimanere nella storia.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 24 Febbraio 2011
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