Via Perugia e il palazzone della solitudine
Le case popolari del 1956 hanno i tetti di amianto, il cortile sterrato e sono circondate da un mare di villette. La convivenza tra abitanti del "palazzone" e delle casette delle famiglie venete, però, è una sfida possibile
La seconda puntata della serie "Cento metri di città"
«Quando siamo arrivati qui negli anni Sessanta non c’era niente, solo strade sterrate e le case popolari lì in mezzo. Sempre state lì». La signora Rosa, che viene dal Veneto, indica il casermone giallino, là dietro, oltre le villette geometrili. Via Perugia e via Pompei, estremo confine di Gallarate: finiscono le case e iniziano il bosco e i campi, quel poco di verde rimasto tra la città, la periferia di Busto e la superstrada. Le case popolari sono un unico fabbricato a tre piani, malmesso: quando il Comune lo costruì, nel 1956, stava a centinaia di metri dal piccolo borghetto di Madonna in Campagna. Lontano dagli occhi della città. Poi, adagio adagio, si è ritrovato circondato dalle villette unifamiliari, costruite in parte dai veneti e dai friulani arrivati con le prime ondate di immigrazione: pochi si ricordano di quando questa zona si chiamava villaggio Sant’Andrea. «Noi – dice la signora Rosa -veniamo da Vicenza. Adesso m’han detto che il Comune vuole costruire tanto qua intorno sui prati. Speriamo di no, che qui è tranquillo». La loro villetta l’hanno costruita in dieci anni. «Ma mica tutta insieme: quando avevamo un milione si aggiungeva un pezzo. Solo mi arrabbio con il geometra che ci consigliò l’amianto per il tetto, adesso ci costerà tanti di quei soldi toglierlo».
Di amianto, poco più in là, ce n’è in grande quantità. Il grande fabbricato delle case popolari è coperto interamente dalle lastre grigie di Eternit, nelle foto aeree (foto sotto – proprietà Google Maps) quasi non si distingue l’edificio dal cortile. «È tutto rotto. Pochi mesi fa si sono staccati i pezzi di amianto sono caduti nel cortile, che pure dei pezzi sono rimasti appesi agli alberi nel cortile. Gli operai li hanno fatti sparire subito» ci racconta subito un’inquilina loquace. Nel palazzaccio ci abitano 18 famiglie, quasi tutte italiane, solo due sono maghrebine. Le case sono piccolissime, case minime verrebbe da dire.
Si lamentano del degrado (noto da tempo), delle facciate scrostate, dei tetti. «E le cantine? Le ha viste? Gli anziani muoiono e i figli lasciano qui le cose nelle cantine». Nel sotterraneo ci sono montagne di immondizia, anche nel locale lavanderia con i vasconi c’è di tutto, nessuno pulisce, gli inquilini stessi non hanno voglia di metterci mano. Chi risiede qui convive comunque anche con il cortile mai asfaltato, costellato di pozzanghere e con i vecchi box per le auto fatti di metallo. «Passano solo a prendere l’affitto, quelli», dice riferendosi con poco tatto ai funzionari del Comune. In compenso la convivenza non sembra poi così problematica, anche tra italiani e stranieri: «C’erano pakistani, passava sempre la polizia, poi li hanno mandati via» racconta un inquilino che ora non ha da lamentarsi dei vicini nordafricani. «Sopra di me a un certo punto c’erano 15 albanesi, tutti in un appartamento» dice invece con una punta di disprezzo una signora. «Sapesse quanto ho dovuto urlare in Comune per mandarli via».
Dietro al palazzo c’è un deposito di materiale del Comune, anche quello con tetto in eternit. E di fronte e nelle strade vicine il mare di villette e casette (nella foto, il lato di via Pompei): dignitose spesso, a volte ricche, guardano con distacco le case popolari. «Ogni tanto c’è un po’ di casino, passa anche la polizia. Ma si vive bene» racconta un residente della zona, il primo che accetta di parlare un po’. «La situazione è migliorata rispetto a una volta, lì c’era anche uno, non posso dire il nome, che è stato dentro per sequestro di persona». Basta forse questo per confermare il pregiudizio sulle case popolari? Un signore anziano che rientra nella sua villetta dice che di problemi non ce ne sono. La signora Rosa, la vicentina che abita in una via vicina, è convinta che alcuni di quelli delle case popolari siano «buoni, ma molti no». Però poi si preoccupa per «gli anziani che non si muovono, poveretti, che se non ci fosse la parrocchia chissà che fine farebbero».
Ma il palazzaccio di via Perugia potrebbe un giorno scomparire: l’amministrazione comunale vuole abbattere le case popolari più vecchie, trasferendo gli abitanti in edifici nuovi da costruire altrove, il progetto riguarderebbe via Perugia, l’altro vecchio palazzo di via Monterosa a Crenna, la ca’ di matt di via Varese. Prima però bisogna trovare i soldi per realizzare le nuove case: il primo nuovo blocco di alloggi sarebbe realizzato in fondo a via Curtatone. Non è detto poi che le aree siano usate per case pubbliche: la coabitazione tra gli alloggi popolari e le villette (forse non così negativa, rispetto ai "ghetti" che esistono altrove) potrebbe finire. «Davvero le abbattono? Sarebbe bello», dice invece la signora Rosa. E poi attacca ancora con il geometra e l’amianto della sua villetta: «Se avevo il tetto con le tegole non ci pensavo, adesso mi tocca spendere tanti di quei soldi. Quante gliene ho dette a quel geometra».
(La prossima puntata di "Cento metri di città" uscirà martedì 29 marzo)
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