Collezione più ricca grazie a Elisa Bregonzio
Come una storia d'altri tempi, la benefattrice, a sorpresa, per volere testamentario dona al Museo del Castello di Masnago cinque opere di Innocente Salvini

Un ultimo atto in onore del padre architetto di Barasso e amante dell’arte. La signora, benefattrice d’altri tempi, è Elisa Bregonzio che pur abitando da molti anni a Milano non aveva dimenticato la sua origine varesina, ritenendo che le opere di famiglia, firmate Salvini, potessero avere un posto d’onore nel museo cittadino. Cornelio Bregonzio insieme a Emilio Alemagna è uno degli architetti più importanti di Basasso, ricordati anche nello stemma della città con un compasso.
Le opere, che si aggiungono alla donazione del 2006 dell’opera “La polenta”, appartengono al periodo artistico di Salvini degli anni ’20, ’30 e ’40 e ritraggono i soggetti più amati dall’artista: il mulino e la vita di campagna con paesaggi, pastori e greggi.
Elisa Bregonzio sposò lo scultore milanese Marco Mantovani. Artista eclettico, fu anche musicista, dapprima allievo di Ludovico Pogliaghi presso il celeberrimo studio al Sacro Monte di Varese, poi all’Accademia di Brera dove ha studiato con Giannino Castiglioni e Francesco Messina, oggi la conoscenza della sua opera è affidata alla Fondazione Marco Mantovani di Milano.
Innocente Salvini (Cocquio Trevisago, Varese, 1889 – 1979) esordisce come artigiano decoratore, e dopo il 1910, a Milano, si perfeziona all’Accademia di Brera e con Edoardo Persico all’Umanitaria. Nel settembre del 1912 il casuale incontro con il pittore Siro Penagini, appena tornato dalla Germania con un nutrito bagaglio di cultura espressionista, incide fondamentalmente sull’avvenire artistico di Salvini. Il Penagini non solo comprende e apprezza l’audacia della ricerca coloristica di Salvini, ma intuendone la natura fantasiosa e personalissima, lo sconsiglia dal seguire le vie obbligate dell’istruzione pittorica del tempo e lo incita a proseguire da solo sulla strada intrapresa. Dagli anni Trenta la sua fama cresce continuamente sino a farne una delle figure più atipiche e importanti del secondo dopoguerra. Tra il 1962 e il 1963 realizza una serie di grandi affreschi nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo di Laveno Mombello. Nel 1971 affresca una parete ad Arcumeggia, piccolo centro sopra Cittiglio, Varese, noto da tempo come il “paese degli affreschi”.
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