“Staiu facenne ‘u delinquente”
Il boss della mafia gelese a Busto Arsizio Rosario Vizzini non si faceva scrupoli e organizzava estorsioni, traffici di droga dal sud-America, incendi, traffici di armi. Lo dice lui stesso in un'intercettazione ambientale
La figura dell’esponente di cosa nostra a Busto Arsizio, Rosario Vizzini (il terzo dall’alto nella foto), emerge nei suoi due aspetti dalle 900 pagine dell’ordinanza emessa dalla procura di Caltanissetta nei suoi confronti e nei confronti di altre 62 persone destinatarie di un mandato di arresto nell’operazione Tetragona. Da una parte Vizzini gode di grande rispetto da parte dei suoi uomini che lo seguono in tutte le sue iniziative e, come nel caso del nipote Angelo, si prendono anche le colpe (ad esempio nell’episodio della pistola trovata nel cantiere di una villetta di Magnago) e dall’altra entrano in contrasto con lui per questioni economiche.
Prova ne è il fatto che lo stesso Fabio Nicastro, suo braccio destro, ad un certo punto gli rivela di aver avuto l’ordine di ammazzarlo da parte dei Rinzivillo di Gela «perchè tratteneva per sé somme di danaro che erano riservate alla famiglia». Per chiarire questo problema entrambi partono alla volta di Roma per un summit con il boss al quale fanno riferimento, Crocifisso Rinzivillo (al centro nella foto). Vizzini si scontra anche con uno dei suoi scagnozzi, quel Piero Caielli che insieme a Claudio Conti organizzano diversi carichi di droga da 5-10 kg sulla rotta Santo Domingo-Londra-Gela. Caielli, infatti, viene accusato più volte di aver fatto sparire decine di migliaia di euro che il Vizzini gli consegnava da inviare a Conti nell’isola caraibica. Particolare anche il rapporto tra Rosario e il nipote Angelo apostrofato come “muccaminchia” o come “pirla” nelle conversazioni telefoniche. Lo zio si lamenta col nipote perchè, a suo dire, il suo comportamento lo mette in cattiva luce con gli amici.
Dal corposo faldone dell’inchiesta emerge come i meccanismi per fare soldi da parte di Vizzini e i suoi erano collaudati: la prima fase sono le estorsioni ai danni degli imprenditori gelesi unitamente alle false fatturazioni che il clan organizzava con imprenditori compiacenti. Da questa attività venivano reperiti capitali da investire nell’acquisto di sostanze stupefacenti con tre tipi di canale in base alle quantità necessarie: uno locale per i piccoli quantitativi, uno a Napoli (la piazza di spaccio più grande d’Europa) e uno nel Centro-America per i grossi quantitativi (tramite il bergamasco Claudio Conti). La droga veniva poi smistata tra Busto e Gela e gli introiti venivano poi “ripuliti” tramite le imprese edili. Lo stesso Vizzini, poi, in un’intercettazione ambientale non lascia spazio a dubbi sul reale settore d’interesse che non è di certo l’edilizia: «na ditta un ci sugnu chiù mancu iu Lì… arrì u delinquente staiu facennu…staiu arrubbannu… staiu vinnennu droga… tutti cosi… pistole...e sa a vuoi l’haiu a droga… tutti cosi c’haiu… finiu ca ditta iu… nenti c’è ca a ditta… lassaiu tutti cosi a Manuele (il nipote, ndr)… e a tutti i carusi… Sarvatore… arrè chiù peggiu di prima semu misi arrè… chiù peggiu ancora sta vota… fino ca va… va… è normale… na facemu ficcarla nculu… pigghia e n’attaccano… nenti un staiu facennu un cazzu chiù..». In questa conversazione con un non meglio precisato Lì è chiaro l’interesse vero del Vizzini, fare “u delinquente”
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