“In sella ad un cavallo mi sento libera”

Francesca Salvadè ha 23 anni e andrà alle Paraolimpiadi a Londra: è una dei cinque atleti paralimpici di equitazione qualificati per Londra

«Posso gareggiare con i normodotati, per questo mi sento libera dai limiti fisici e anche mentali». L’equitazione è una disciplina sportiva particolare e lo è anche per i disabili: per l’emozione del rapporto con l’animale, per le sfide che porta. Queste sono le storie di cinque atleti dai 23 ai 51 anni, accomunati da un sogno comune – partecipare alle Paraolimpiadi di Londra – e dal fatto di aver trovato in provincia di Varese uno sponsor che ha voluto sostenerli, la Porrini di Casorate Sempione, che produce mangimi per cavalli. Da venerdì e fino a domenica scorsa gli atleti sono stati impegnati proprio a Casorate Sempione, al centro Riding, dove si è disputata la sesta edizione del Concorso Internazionale Paralimpico di dressage, ultima gara valida per le qualificazioni individuali alle Paraolimpiadi di Londra.E alla fine ce l’hanno fatto: loro cinque, insieme ad un sesto atleta, rappresenteranno l’Italia nella sfida olimpica.

I nostri atleti paralimpici hanno storie molto diverse, non fosse altro che per il fatto che provengono da diverse città e paesi d’Italia. Ma quando chiedi loro che cosa amano dell’equitazione hanno una sola risposta: la simbiosi che si crea con il cavallo. «Quando monto è come se entrassi in un altro mondo, in cui sono libera da tutto e da tutti – spiega Sara Morganti, 36 anni di Pisa -. A volte sono così in sintonia con Royal Delight, la mia cavalla di 7 anni, che mi sembra di essere io stessa a muovermi. Da piccola sognavo di fare la ballerina e da adolescente ho praticato a lungo danza: oggi, che la sclerosi multipla non mi permette più di fare ciò che vorrei, il dressage mi consente ancora di ballare».

La libertà in sella al cavallo: è proprio questa la sensazione che i cavalieri paralimpici amano di più del loro sport. «Cavalcando ho la possibilità di gareggiare nel salto a ostacoli anche con i normodotati» commenta Francesca Salvadè, 23 anni di Pieve Ligure, una futura laurea in legge. «Mi sento libera dai limiti fisici e anche mentali». Sensazioni piacevoli e preziose, ma a valere la fatica di tanti allenamenti e il sacrificio economico che l’equitazione richiede ai suoi praticanti è soprattutto il prezioso rapporto di amicizia e fedeltà tra il cavallo e il suo fantino. «La mia Ceyline, che monto da 8 anni, è molto dolce con me: sa che deve stare ferma quando salgo in sella, non reagisce se involontariamente la colpisco e, se saltando perdo l’equilibrio, lei rallenta e aspetta che torni salda», aggiunge Francesca.

Per Antonella Cecilia, invece, cinquantunenne di Roma, l’amicizia con il cavallo non è iniziata nel migliore dei modi: «In sei mesi il mio primo cavallo mi ha buttato a terra per 74 volte. E anche Cor Lord, il purosangue tedesco di 10 anni che monto oggi, mi ha mandato all’ospedale per 10 giorni. Adesso, però, abbiamo compreso alcune dinamiche del nostro rapporto e Cor Lord si dimostra molto sensibile con me, mi riconosce e mi mostra il suo affetto con un linguaggio tutto suo, tanto che lo chiamo il mio “cagnolone grande”. Questo mi regala un’enorme gioia». Una gioia che le ha permesso non solo di superare una diagnosi di sclerosi multipla che l’ha sottratta a una vita ricca di esperienze sportive, anche estreme (le ultime passioni, il kayak e l’hydro speed, l’avevano spinta a trasferirsi appositamente in Val Sesia), ma anche il dolore più atroce: quello di perdere un figlio, appena quindicenne, per leucemia.

Affettuoso, ma anche sincero, il cavallo: è questa caratteristica ad affascinare Silvia Veratti, bolognese e coetanea di Antonella, una vita spesa intorno al mondo equestre. «Già dopo il liceo ho cominciato a lavorare nelle scuderie con varie mansioni – ricorda -. Poi sono diventata istruttrice federale e ho aperto un centro tutto mio, sulle colline fuori città, dove insegnavo, preparavo e domavo puledri, li portavo in gara». Poi un incidente in sella nel ’96 la costringe su una sedia a rotelle. Silvia abbandona per alcuni anni il suo centro, ma non i cavalli: «Grazie ad una sella creata appositamente da me, ho ricominciato subito a montare e nel ’99 ero già ai mondiali in Danimarca. Oggi, con l’aiuto di altre persone, sono tornata a gestire “Porziola”, la mia azienda agricola dov’è nato anche Balla coi lupi, il cavallo con cui ho vinto diverse medaglie, anche alle Paraolimpiadi di Pechino nel 2008».

Dunque, è soprattutto una storia di amicizia tra l’uomo e il cavallo quella che si cela dietro i grandi successi dei campioni di equitazione. «Perché a fare la differenza non sono solo le capacità tecniche, ma l’empatia che si crea tra animale e fantino. Anche se – ammette Andrea Vigon, trentunenne di Aosta – negli ultimi anni il livello dei cavalli da dressage presenti alle competizioni si è alzato parecchio e, a volte, la possibilità economica di acquistare un animale più o meno dotato può fare la differenza». Un tasto dolente, quello finanziario, per gli atleti paralimpici. Perché se i cavalieri normodotati possono fare della loro passione un lavoro e godere delle sponsorizzazioni che i successi sportivi portano con sé, per i fantini paralimpici non è sempre così facile ottenere il supporto necessario per dedicarsi all’equitazione, inevitabilmente costosa. Così, a parte Francesca, ancora impegnata con lo studio, Antonella, Silvia, Andrea e Sara mantengono la loro passione con un lavoro. In questo allora diventano fondamentali gli sponsor, che in questo caso è proprio un’azienda locale di Casorate Sempione, legata al mondo dell’equitazione. Il contributo di Porrini lega un po’ le storie degli atleti italiani alla provincia di Varese, confermando anche un po’ la vocazione di Casorate ad essere una piccola capitale dell’equitazione, tra tante aziende attive e grandi nomi del presente e del passato nel nobile sport. Una bella storia che si racconta non solo con i numeri delle medaglie degli atleti, ma proprio attraverso le emozioni che suscita.

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Pubblicato il 25 Giugno 2012
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