Concorso bloccato, la prima classificata aveva rinunciato
Silvia Maconi racconta la sua esperienza con la dirigenza di Agesp Servizi: "Ho rinunciato perchè mi avevano proposto una retribuzione al di sotto del minimo tabellare. Ho rinunciato e mi sono salvata"
La vicenda del concorso indetto da Agesp, che ha portato all’assunzione di una direttrice di farmacia poi bloccata dal Comune, si arricchisce di nuovi elementi. Prima dell’accettazione dell’incarico da parte della farmacista, della quale abbiamo scritto lunedì, un’altra dottoressa (prima classificata nel concorso) aveva rinunciato al lavoro. Fin qui niente di male, capita che chi vince un concorso poi decida di non accettare il posto ma in questo caso la rinuncia è arrivata più per disperazione che per volontà propria. A raccontarci la sua esperienza è Silvia Maconi, varesina e impiegata come collaboratrice part time in una farmacia della provincia. «Avevo deciso di provare questo concorso perchè speravo in un avanzamento di carriera – racconta – cercavo un posto di lavoro con più responsabilità e di conseguenza più remunerativo».
Una volta vinto il concorso il sogno era ad un passo dall’avverarsi: «Purtroppo il rapporto con Agesp Servizi non è stato quello che mi aspettavo sin dall’inizio – prosegue nel suo racconto – dopo avermi comunicato l’esito a settembre, infatti, non ho più ricevuto notizie per un mese». Poi all’improvviso c’è stata un’accelerazione e riceve una telefonata nella quale le viene chiesto se fosse ancora interessata al posto di direttrice: «La domanda mi è suonata piuttosto bislacca visto che avevo vinto un concorso per diventare direttrice di farmacia e se non mi fosse interessato non avrei nemmeno partecipato. A quel punto ho ottenuto un appuntamento con la responsabile risorse umane di Agesp – continua Silvia nel racconto – mi è stato proposto di dirigere la farmacia 3, nella quale tale posizione di responsabilità stava per rimanere scoperta a seguito del pensionamento dell’attuale responsabile. Quello che ha aumentato la mia sorpresa è stata la vaghezza delle risposte alle mie legittime domande sul tipo di inquadramento contrattuale, sulla retribuzione, sugli orari, gli eventuali rimborsi previsti». Qualche risposta alla dottoressa è arrivata soltanto in una telefonata due giorni dopo: «Mi è stato proposto un contratto come quadro a tempo indeterminato, ma con retribuzione al minimo tabellare in base a tabelle non aggiornate e senza alcun rimborso, nemmeno dei buoni pasto».
I dubbi di Silvia aumentano e da un rapido calcolo, tolti benzina, autostrada, pranzi, parcheggi scopre che avrebbe guadagnato esattamente come nel precedente lavoro (quello di collaboratrice part time): «Alla fine ho deciso di rinunciare a quel lavoro e di rimanere nella farmacia in cui attualmente lavoro conclude – se avessi accettato mi sarei ritrovata disoccupata, visto quello che è accaduto alla seconda classificata. A lei va tutta la mia solidarietà».
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