Finisce l’emergenza, i profughi fuori dai centri di accoglienza
Erano giunti due anni fa sull'onda dei disordini politici e civili che hanno sconquassato il Nordafrica. Alcuni sono già ripartiti, altri hanno già una metà ma molti non sanno dove andare
Dopo due anni si chiudono le porte dei centri di accoglienza per i profughi giunti sull’onda dei disordini politici e civili che hanno sconquassato il Nordafrica. Ospitati in alberghi, hotel, centri umanitari e strutture di accoglienza, fino ad oggi mantenuti da un fondo disposto dal ministero per far fronte all’emergenza di due anni fa, per loro adesso, martedì 28 febbraio, è arrivata la fine del percorso di accoglienza.
Questo periodo è servito allo stato per tamponare la situazione drammatica che si era creata sulle coste meridionali, Lampedusa in primis, dove gli sbarchi avevano raggiunto le dimensioni di un esodo di massa. Ma ha permesso anche agli uffici delle questure di verificare la condizione burocratica dei migranti e le richieste di asilo politico.
Va ricordato che molti di loro, quando arrivarono in Italia, avevano ancora negli occhi i drammi della guerra e la disperazione della povertà. Venivano dal Ghana, dalla Costa d’Avorio, dal Burkina Faso, dal Gabon, dal Mali, dal Niger, dalla Nigeria. Erano finiti tutti in Libia per lavoro o disperazione, e si erano trovati in mezzo all’ultima travagliata fase del regime di Gheddafi.
Durante l’emergenza furono "smistati" in tutta Italia per essere accolti dai comuni e in questi anni hanno vissuto sempre qua. Ad ognuno è stata affidata una "diaria" e il pagamento delle spese di vitto e alloggio presso le strutture di accoglienza. Alcuni comuni, soprattutto con l’aiuto delle associazioni di volontariato, hanno organizzato corsi di formazione, attività ricreative e professionali, altri hanno adempiuto semplicemente alle pratiche di accoglienza.
Oggi il periodo di "accompagnamento" è finito. Ad ognuno dei profughi è stato affidata la cifra di 500 euro e il permesso di soggiorno e adesso spetta a loro trovare la strada. C’erano quelli di Varese alloggiati al Plaza, una quindicina portati in pullman da Somma Lombardo («Su 35 che erano arrivati, gli altri erano già andati per la loro strada», puntualizza l’assessore di Somma Claudia Colombo).
In molti avevano già lasciato i punti di accoglienza, non appena riconosciuto il permesso di soggiorno, avevano preso nuove vie oppure erano partiti verso altri Stati: quelli accolti a Gallarate, ad esempio, erano già partiti quasi tutti a gennaio, accompagnati in percorsi autonomi. Molti hanno preferito spostarsi verso Francia, Germania, e Nord Europa, altri hanno trovato qualche lavoro in zona. Altri ancora hanno trovato ospitalità presso amici e parenti.
Molti però non hanno ancora ben chiaro dove andare: «me ne andrò in giro, dormirò in stazione». Lo dicono col sorriso sulle labbra, con la faccia di chi è sicuro di cavarsela in qualche modo, ma in molti sono veramente preoccupati. Dopo tutto da oggi non c’è più la garanzia di un tetto sulla testa. Ci sono 500 euro, una nuova lingua imparata e una rete di contatti e amicizie fatta soprattutto di persone che si trovano più o meno nelle stesse condizioni.
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