Da Gerusalemme ad Abud

Il 13 agosto i ragazzi di Stoà hanno lasciato Gerusalemme non prima di aver visitato la Yad Vashem. In serata lasciano la città del Santo con mille domande nella testa

Salutiamo la città vecchia di Gerusalemme, che ci ha ospitati e incantati in questi giorni, e ci incamminiamo per gli stretti e impervi viottoli di pietra chiara verso la porta che ci conduce fuori dalle mura. Partiamo alla volta del Monte Herzl, a ovest di Gerusalemme, per andare a visitare lo Yad Vashem. Lo Yad Vashem non è un museo, si può piuttosto definire come il memoriale che il popolo d’Israele ha voluto costruire e dedicare ai sei milioni di vittime della Shoah, affinché la memoria per ciascuna di esse sia ricordata nel presente: è il concetto di "zikkaron", che in ebraico significa proprio memoriale, ricordo che si rivive nel presente. 

I termini "Yad Vashem" sono tratti da un brano del profeta Isaia, che dice (Is 56,5) "io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto e un nome migliori che ai figli e alle figlie, darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato"; ecco che la traduzione del nome "Yad vashem" è proprio in questi due termini: un luogo e un nome. Con questo memoriale, Israele vuole dare un nome e un luogo per il popolo eletto da Dio, che è stato sterminato con una violenza e una malvagità tali da non poter lasciare indifferente nessun uomo, tanto più noi, figli dello stesso Dio unico. Osserviamo le numerose sale dello Yad vashem, i cortili, il Giardino dei Giusti tra le Nazioni (coloro che aiutarono gli ebrei a salvarsi dalla persecuzione dei nazisti), la sala del memoriale, con i nomi dei principali campi di sterminio, e una stanza dedicata al milione e mezzo di bambini sterminati, buia, con una candela per ciascuno di loro, un volto, un nome e una data di nascita: ripercorriamo la storia, interrogandoci sul perché di tanto male.

Senza conoscere a fondo la storia di questo popolo così oppresso, difficilmente si può comprendere quella di oggi, dove Israele è uno Stato e dove la situazione politica di quei territori appare così complessa e delicata da non trovare mai una definitività e una pace per tutte le parti. Con molti interrogativi nel cuore e nella mente, visitiamo la città nuova di Gerusalemme, partendo da Ben Yehuda street, via tristemente nota per l’attentato del 1948 che fece decine di vittime. Qui Gerusalemme è una città decisamente occidentale, ma non perde mai quell’inquietudine dovuta alla pluralità e al fermento di identità che percorrono le sue vie, abitano le sue case, pregano nelle suoi luoghi sacri.

Concludiamo la nostra giornata nella Città del Santo incontrando Fra Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa dal 2004. Lo ascoltiamo e con lui dialoghiamo rispetto alla presenza cristiana in questa terra, ai problemi di identità, di fede, di vita dei vari gruppi presenti. Ci spiega il modo in cui loro, i francescani, si occupano di questa terra, di come la custodiscono con amore affinché chiunque arrivi possa trovare qualcuno pronto ad accoglierlo, che sia turista, pellegrino o abitante della comunità cristiana locale: la custodia, infatti, si occupa del carattere cristiano della terra: delle pietre della memoria, dunque, cioè dei luoghi santi, ma anche delle pietre vive, e questi due aspetti sono imprescindibili l’uno dall’altro.

Arricchiti dall’incontro con lui, lasciamo Gerusalemme in direzione Abud. Mentre salutiamo la Città del Santo, che ci ha così tanto scossi, commossi e interrogati, vogliamo che nulla vada perduto di quanto incontrato, con le parole del salmista: "Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tu ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia" (Sal 136).

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Agosto 2013
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