I ragazzi di Stoà raggiungono Betlemme

La tappa del 10 agosto ce la raccontano Michi, Ste e Fede

Betlemme racchiude in sé due concetti definiti dalle seguenti parole: casa e pane. La casa rimanda all’accoglienza, Gesù infatti è stato accolto con amore da Betlemme. Il pane invece rimanda al bisogno di ognuno di noi di soddisfare la propria fame fisica e spirituale. Riflettendo sulla giornata abbiamo individuato la parola chiave e filo conduttore di oggi: l’accoglienza. Proprio sulla scia di questa meditazione offertaci dalle nostre guide spirituali, ripercorriamo le ore passate tra le strade di Betlemme. Per iniziare, come i pastori, ci siamo diretti sul luogo della Natività, ove si trova la chiesa omonima, luogo dell’accoglienza per eccellenza. Qui ci è stato detto che la Sacra Famiglia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare leggendo il Vangelo, è stata accolta e non respinta, da Betlemme, infatti l’albergo a cui Giuseppe e Maria hanno bussato e che hanno trovato occupato non si riferisce all’intera casa ma solo alla parte più esterna, quella abitata dalle persone. Maria ha dunque partorito nella parte interna, più accogliente e calda, dimora degli animali da lavoro.

Per proseguire poi alla volta della grotta dei pastori, dove abbiamo incontrato la realtà di quel tempo, realtà semplice, tra terra e sassi, in cui possiamo ritrovare le radici dell’ospitalità che ogni giorno sperimentiamo in questa terra. Pur trovandoci in terra straniera, ci concediamo un pranzo italiano dai francescani, che ci regala una pausa durante la giornata. Nel pomeriggio, due incontri con due realtà attuali nella palestina che ci offrono un diverso modo di vedere l’accoglienza in questa terra. Pur non essendo in programma, alcuni tra di noi si recano a visitare il muro di separazione che divide Betlemme da Gerusalemme; il muro è una struttura in cemento armato che si estende per circa 700 km, separando le terre israeliane da quelle palestinesi. Il primo impatto con il muro è angosciante: ci sentiamo davvero piccoli e impotenti di fronte a questa barriera alta 8 metri che circonda la città rendendola, di fatto, una prigione a cielo aperto. Il tracciato del muro non è però regolare: percorrendolo a piedi capita spesso di incontrare deviazioni improvvise, costruite per annettere ai territori israeliani siti di importanza religiosa per il popolo ebraico. Capita così di incontrare persone come la signora Clara, la cui casa si trova circondata su 3 lati, che vedendoci ci chiede di ascoltare la sua storia di sofferenza causata dall’esercito israeliano.

Questo incontro toccante ci fa riflettere su questa città, il cui nome significa “casa del pane”, o dell’accoglienza potremmo dire, che ha accolto Gesù ma che ora, nella delicatissima situazione attuale, pare aver scordato la propria vocazione. Case e pane, due fattori irrinunciabili per tutti gli uomini. Due concetti semplici ma al contempo profondi nel loro significato. A Teqoa incontriamo Edoardo, arzillo 70enne di origini italiane, per cui la casa, nel suo senso di terra patria, ha richiamato a trasferirsi in Israele e vivere, oggi, in un insediamento israeliano nei territori palestinesi. Gli insediamenti, o più comunemente noti per l’appellativo dei propri abitanti, coloni, sono oggetto da anni di controversie tra autorità israeliane e palestinesi e costituiscono un intralcio non indifferente ai processi di pace.

Al di là delle questioni più prettamente politiche, a noi interessa l’incontro con la persona, sperando non tanto di capire ma di conoscere i presupposti che animano l’interlocutore: per lui la Parola di Dio rivelata dai Prrofeti dell’Antico Testamento ha conferito “mandato” e “autorità”, a lui e ai suoi connazionali, per vivere con sovranità e legittimità questa terra. Troviamo estremamente affascinate avvicinarci a questo punto di vista, non in virtù di una condivisione ma appunto, di un tentativo di comprensione. Anche per lui Casa e Pane hanno valore profondo, dunque accoglienza come piena vita. Pur nelle contraddizioni della giornata riflettiamo che anche nelle vicende più complesse in realtà i fattori in gioco sono i più semplici e speriamo, in cuor nostro, che per un domani di convivenza, accoglienza e fratellanza possa tornare a scaldare il cuore degli uomini il tepore di quella grotta, così lontana ma altrettanto così vicina, che 2000 anni fa ha destato nell’uomo il suo compimento nell’amore.

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Pubblicato il 21 Agosto 2013
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