Nel Santo Sepolcro tra commozione e gioia
Michi e Benny di Stoà racontano la tappa di Gerusalemme, meta principale del pellegrinaggio dei ragazzi bustocchi
La nostra prima giornata a Gerusalemme comincia molto presto: alle 7.30 celebriamo la Santa Messa al Calvario, con noi c’è Padre Giovanni, amico e parroco al Sacro Cuore a Busto. La cappella del Calvario si trova nella basilica del Santo Sepolcro, che visitiamo velocemente per poi tornarci più tardi, durante la giornata. Uno sguardo dal terrazzo della casa che ci ospita, poi, ci permette di avere una visione di insieme: cupole, minareti, chiese, torri e mura… è Gerusalemme! La città vecchia è divisa in quattro quartieri, grazie al cardo e al decumano d’epoca romana, che creano quattro zone (cristiana, armena, musulmana ed ebraica), ciascuna così affascinante e singolare e che non sembra poter esistere senza l’interazione con le altre tre. Percorriamo così le vie strette e scoscese all’interno delle mura. Cominciamo dal quartiere cristiano e, una volta nel quartiere armeno, abbiamo la fortuna di poter assistere a una liturgia dei monaci, in un’atmosfera mistica osserviamo e ascoltiamo le loro parole e i loro canti, in una chiesa buia e illuminata da poche candele e un sottile di luce, quella – ci spiegano – è una delle liturgie più simili rispetto a quella delle prime comunità cristiane.
Continuiamo la nostra conoscenza della città vecchia e raggiungiamo il quartiere ebraico: qui, in
una stanza al primo piano di un edificio, si ricorda il Cenacolo e l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. Arriviamo finalmente al muro occidentale, meglio conosciuto come “muro del pianto”, il muro del tempio ebraico distrutto per la seconda volta nel 70 d.C., ancora oggi venerato e presso il quale tutti gli ebrei e numerosi pellegrini pregano il Dio di Abramo, come faceva anche Gesù duemila anni fa. Ci dividiamo: i ragazzi coprono il capo con la kippà, le ragazze entrano nella sezione dedicata alle donne. Al muro, è indescrivibile. Uomini e donne da tutto il mondo pregano, si muovono come richiede la liturgia ebraica, recitano formule e, soprattutto, piangono. Lacrime e lacrime hanno raccolto quelle mura, lacrime di un popolo che piange sul proprio tempio distrutto. Lacrime per essere nel luogo dove tutto è nato, dove il Dio unico è nato, dove anche Gesù si recava a pregare, lì, siamo nati anche noi.
Continuiamo il nostro cammino attraversando la valle del Cedron e raggiungendo il Getsemani e i suoi ulivi. Qui meditiamo e preghiamo, così come Gesù chiese ai suoi discepoli nell’ultima notte prima dell’arresto. Rientrando nella città vecchia, percorriamo in silenzio la Via Dolorosa, attraversando il quartiere arabo, con il suq, i profumi di spezie, i colori di sciarpe e pantaloni. Raggiungiamo allora, nuovamente ma come conclusione di un cammino, il Santo Sepolcro, meta della nostra fede e senza la quale neppure questo pellegrinare avrebbe senso. Ci lasciamo stupire dalla spettacolarità di quel luogo, in cui le diverse comunità cristiane presenti a Gerusalemme hanno le proprie cappelle e pregano, ininterrottamente, quasi a non voler mai lasciare da solo Dio.
A turno, entriamo nel Sepolcro; ciascuno prega, silenziosamente, scende qualche lacrima di
commozione e di grazia: quello è il punto che da il senso a tutto.
Alla sera ci rechiamo nuovamente al Muro del Pianto: don Alberto ci legge un brano di Ezechiele 37, alla luce del quale capire meglio il senso di quel luogo, per il popolo d’Israele e poi noi Cristiani. Ascoltiamo, in silenzio, mentre attorno a noi centinaia di persone camminano per la piazza antistante il muro, vanno verso di esso e, silenziosamente, cominciano la loro preghiera. Una preghiera continua, come a non voler mai lasciare vuoto neanche un metro di quello spazio, come a non voler mai smettere di ricordare l’importanza di quel tempio.
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