I risparmiatori varesini sono virtuosi

Flavio Debellini, manager della Banca Popolare di Bergamo, commenta i dati dell'indagine sui contribuenti della Camera di Commercio

flavio debellini

La crisi non ha solo diminuito il potere di acquisto dei nostri redditi, come evidenziato dall’indagine dell’Ufficio studi della Camera di Commercio di Varese, ma ha cambiato anche in parte le abitudini dei risparmiatori che in Italia occupano un posto al pari dei santi, dei poeti e dei navigatori. Gli italiani sono infatti un popolo di “formiche”, cioè virtuosi nel risparmio, caratteristica che ha permesso a molte famiglie di reggere con dignità l’urto della crisi, che in molti casi  ha coinciso con la perdita del posto di lavoro di uno o di entrambi i componenti. E il fatto che gli italiani abbiano “un tesoretto” privato, che è circa il doppio del debito pubblico, secondo l’economista Marco Fortis, vice presidente della Fondazione Edison, metterebbe il Belpaese al riparo da possibili rischi di default.

A Flavio Debellini, responsabile territoriale di Varese della Banca Popolare di Bergamo, abbiamo chiesto di commentare i dati dell’indagine dell’ente camerale. Con oltre 100 filiali e un radicamento sul territorio che un tempo si identificava anche con la ragione sociale (“Credito Varesino”), la BpB del gruppo Ubi è un osservatorio interessante per capire come hanno reagito i risparmiatori nel Varesotto a fronte di una contrazione in termini reali dei loro redditi.

Debellini, qual è il dato che più l’ha colpita di quell’indagine?
«Il fatto che l’imponibile complessivo è aumentato e che la media del contribuente varesino è superiore a quella nazionale. Questo vuol dire che il sistema ha tenuto nonostante le dinamiche negative relative all’occupazione qui siano state più marcate, essendo il nostro un territorio fortemente industrializzato».

Per quanto riguarda il risparmio, i contribuenti della nostra provincia sono stati virtuosi?
«Certo, i dati dicono che i depositi delle famiglie tendono a crescere al di là di una piccola parentesi tra il 2011 e il 2012, in coincidenza con il picco massimo del sentimento di sfiducia nei confronti del sistema. Quindi la ricchezza non è quasi mai diminuita».

In che cosa investe il risparmiatore varesino?
«Prima della crisi c’erano due grandi comparti: l’immobiliare e i titoli di stato. Ma se prima il mercato del mattone rendeva meglio del conto in banca, oggi è un investimento in calo perché con i flussi di reddito più precari non garantisce un rendimento sicuro. È innegabile che in questo periodo si fa più fatica a incassare i canoni di affitto, a fronte di un forte aumento di oneri e spese. Anche i titoli di stato non sono più così richiesti come in passato perché meno remunerativi. Il risparmiatore tende a rivolgersi ai mercati emergenti, che poi sono emersi da tempo, perché hanno economie che crescono a due cifre, facendo però scelte sempre molto ponderate».

E il mercato azionario?
«In Italia l’investimento in valori azionari è ancora molto basso. Il risparmiatore cerca sempre la sua cedola e soprattutto vuole poter tradurre in liquidità, con una certa facilità e in qualsiasi momento, il capitale investito. Quindi preferisce altri strumenti».

All’inizio della crisi, in un convegno alle Ville Ponti, l’economista Giacomo Vaciago disse che i soldi non mancavano ma non si facevano impieghi perché non c’erano idee valide da finanziare. Condivide questa visione?
«La ragione per cui per molti anni si è fatta molta fatica a fare impieghi è da attribuire al clima generale di sfiducia che regnava nel Paese, quindi Vaciago aveva ragione. Oggi c’è una ripresa degli impieghi sia verso le famiglie, che chiedono soldi per comprare casa e automobile, sia verso le imprese. I dati della Banca d’Italia dimostrano che gli impieghi superano di una quota che oscilla tra il  5% e 10%  la raccolta complessiva di risparmio».

Nell’indagine della Camera di Commercio si fa riferimento anche alla deflazione iniziata nel 2014. Che cosa dobbiamo temere in proposito?
«Non siamo culturalmente attrezzati perché gli italiani hanno sempre avuto a che fare con l’inflazione. La preoccupazione è la seguente: se io aspetto la diminuzione dei prezzi si paralizza la domanda e quindi si rallenta la produzione. Il consumatore comprerà solo ciò che non puo’ rinviare. È un fenomeno che i singoli e le imprese non devono sottovalutare anche se occorre sottolineare che molte aziende del territorio hanno nell’export il loro punto di forza e quindi non risentono molto del calo della domanda interna, come peraltro dimostra la bilancia commerciale, fortemente in attivo».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 28 Aprile 2015
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