Una riflessione sul senso della vita al Teatro Sociale

Dall'Antologia di Spoon River ai versi che Dante Alighieri dedicò a Ulisse nel Canto XXVI dell’«Inferno». L'appuntamento, nato da un'idea di Delia Cajelli, è un viaggio nella letteratura mondiale

teatro sociale busto arsizio

«Dormono, dormono sulla collina. Dormono, dormono sulla collina»: sulle note di questa ballata cupa e martellante, composta nel 1971 da Fabrizio De Andrè per l’album «Non al denaro non all’amore né al cielo» dedicato all’«Antologia di Spoon River», si apre il percorso tra le opere letterarie che compongono il saggio-spettacolo «Perché tu mi dici: poeta?», in programma giovedì 25 giugno, alle ore 21, al teatro Sociale di Busto Arsizio, nell’ambito della stagione cittadina «BA Teatro».

La rappresentazione, articolata come un’intensa riflessione sul senso ultimo della vita e sul mistero della morte, è nata da un’idea di Delia Cajelli, per oltre quarant’anni anima e direttrice artistica della sala di piazza Plebiscito, scomparsa lo scorso 17 aprile dopo aver combattuto per mesi, con grande dignità e forza, contro il male che l’aveva colpita.

Sul palco saliranno una quindicina di allievi de «Il metodo», corso di animazione e di educazione alla teatralità e allo spettacolo per ragazzi dai 12 ai 21 anni, promosso all’interno del progetto «Officina della creatività» di «Educarte», associazione culturale da poco presieduta dall’ingegner Simone Menato.

Firmano la regia Gerry Franceschini e Anita Romano, ideatrice anche del percorso tra le poesie selezionate da Delia Cajelli per lo spettacolo, anticipato da una scena che rievoca, sulle note dei Pink Floyd, l’ultima improvvisazionedella regista con i “suoi” ragazzi, quella nella quale hanno preso forma le sensazioni provate alla notizia dello schianto sulle Alpi francesi dell’Airbus A320 della Germanwings, che ha visto la morte, lo scorso marzo, di centocinquanta persone, tra cui sedici studenti spagnoli.

Le coreografie dello spettacolo -sulle note del pianista Ludovico Einaudi, del flautista Gheorghe Zamfir e del compositore Fryderyk Chopin– sono state, invece, ideate da Elisa Vai; mentre luci e fonica vedranno all’opera Maurizio «Billo» Aspes.

Costance Hately, la poetessa Minerva Jones, il dottor Meyers, Johnnie Sayre, Nellie Clark, Nancy Knapp ed Elsa Wertman –uomini, donne e bambini comuni ma resi immortali dai versi di Edgar Lee Masters, pubblicati in America tra il 1914 e il 1915 sulla rivista «Reedy’s Mirror» di Saint Louis ed editi in Italia nel 1943 da Einaudi, nell’impareggiabile traduzione di Fernanda Pivano– si presenteranno al pubblico, all’aprirsi del sipario, e racconteranno con dolore, con rabbia, con distacco e con passione le storie della loro vita.

Quella che andrà in scena è, per usare le parole di Cesare Pavese, una «formicolante commedia umana», nella quale «le spettrali, dolenti, sarcastiche voci di Spoon River» ricorderanno, con nuda essenzialità e con obiettività, vicende di abusi, sconfitte, vergogne, ingiustizie subite, paura e ansia di pace.

Le loro parole s’intrecceranno sul palco con quelle di altri sconosciuti, di altri giovani «strappati al male a venire» come il piccolo protagonista della lirica «L’aquilone» di Giovanni Pascoli, autore del quale verrà proposta anche l’opera «X Agosto» sulla morte del padre, o la ragazza dagli «occhi ridenti e fuggitivi» della poesia «A Silvia» di Giacomo Leopardi, scrittore di cui sarà, inoltre, possibile ascoltare l’idillio «Alla luna» sul tema del ricordo.

«La letteratura diventa così –spiega Anita Romano– una forma di sopravvivenza alla finitezza umana: come la memoria dei nostri cari, la parola scritta lascia una traccia di noi dopo la morte. Non sempre, però, gli scrittori sono stati capaci di farsi portavoce delle storie altrui». È il caso di Sergio Corazzini e Aldo Palazzeschi con i loro autoritratti, l’uno triste l’altro ironico, tracciati nelle poesie «Desolazione del povero poeta sentimentale» e «Chi sono?», contrapposti in scena alle parole della lirica «Morii per la bellezza» di Emily Dickinson, alla quale faranno da colonna sonora le note di una canzone molto amata da Delia Cajelli: «Era de maggio» di Salvatore di Giacomo e Mario Pasquale Costa.

«A chiudere lo spettacolo –spiega ancora Anita Romano– sarà un moto di speranza: ogni vita ha valore e la vale la pena di essere vissuta, anche se non finirà in un libro di poesie». Ecco così le parole del «Carpe Diem» di Orazio, invito a vivere l’«attimo fuggente» e a rendere straordinaria la propria esistenza, e i versi del Canto XXVI dell’«Inferno» dantesco, quello dedicato a Ulisse, con la celebre terzina:  «Considerate la vostra semenza / fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza».

L’ingresso a «Perché tu mi dici: poeta?» è libero e gratuito. L’appuntamento sostituisce lo spettacolo «Re Lear» di William Shakespeare, per la regia di Delia Cajelli e con gli allievi del corso «Essere o non essere», previsto per la serata di giovedì 25 giugno all’interno della stagione cittadina «BA Teatro».

Per informazioni è possibile mettersi in contatto con la segreteria del teatro Sociale di Busto Arsizio al numero 0331.679000 (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.30 alle ore 12.30) o all’indirizzo e-mail info@teatrosociale.it.

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Pubblicato il 23 Giugno 2015
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