La famiglia di Uva vuole la condanna di carabinieri e poliziotti

È il giorno della parte civile, al processo per la morte di Giuseppe Uva

Caso Uva, presidio davanti al tribunale (inserita in galleria)

È il giorno della parte civile, al processo per la morte di Giuseppe Uva. In giornata termineranno la loro ricostruzione dei fatti gli avvocati Fabio Ambrosetti e Alberto Zanzi, che tutelano la famiglia dell’operaio morto nel 2008. Successivamente parlerà l’avvocato Fabio Matera in rappresentanza del fratello di Giuseppe, Nicola Uva.

La parte civile chiederà la condanna per tutti e otto gli imputati. Poi toccherà alle difese. Gli avvocati che tutelano i sei carabinieri e i due poliziotti indagati per omicidio preterintenzionale, abbandono di incapace, abuso di potere e arresto illegale chiederanno con ogni probabilità l’assoluzione per tutti gli imputati e in ordine a tutti i capi di imputazione.

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La stessa richiesta peraltro é già stata formulata dal pubblico ministero che sostiene l’accusa, Daniela Borgonovo: si tratta della terza richiesta di proscioglimento da parte di altrettanti pubblici ministeri.
L’avvocato Fabio Ambrosetti ha terminato la sua ricostruzione dei fatti alle ore 12; al termine della requisitoria di parte civile ha chiesto, come annunciato nella scorsa udienza, quattro euro di risarcimento, una per ogni capo di imputazione, in nome di Lucia Uva. Tuttavia, l’avvocato si é rimesso al giudizio della corte per tutti gli altri familiari, i quali non rinunceranno ad eventuali risarcimenti da liquidarsi separatamente in sede civile.

Ma qual è la tesi della parte civili? In sostanza, gli avvocati hanno spiegato che le forze dell’ordine non volevano uccidere Uva, “ma volevano dargli una lezione”.

Uva venne trattenuto in caserma, senza la sua volontà e senza un arresto. Questa costrizione, le urla, le manette, il trattenimento in caserma, sarebbero all’origine della reazione emotiva che scatenò il trigger, indicato come la causa della fibrillazione ventricolare che in alcune ore lo portò alla morte quando già si trovava in ospedale. Secondo quanto disse in aula il perito Demori, anche con bassi livelli di contenzione, un cuore come quello di Uva può avere delle reazioni di quel tipo. Il nesso di causa tra la condotta degli agenti e la morte sarebbe provato dalle perizie scientifiche, inoltre secondo gli avvocati le botte ci furono, seppure non tali da provocare lesioni gravi. L’arresto illegale fu causa di uno choc, che a sua volta fu causa della morte. “Nel diritto penale italiano – ha affermato Fabio Ambrosetti – la causa di una causa, equivale alla causa dell’evento”. Anche l’avvocato Fabio Matera per Nicola Uva ha chiesto la condanna.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Febbraio 2016
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