L’inesorabile sconfitta delle cabine telefoniche. Ogni settimana, qualcuna ci lascia

Protagoniste indiscusse delle comunicazioni fino a metà anni Novanta, oggi sono ricordate solo quando scompaiono: ogni anno dal 2009 se ne rimuovono migliaia

cabine telefoniche Gallarate

Un foglio esposto per qualche mese, nell’indifferenza. Un camion, un’ora o poco più di lavoro, un viaggio che incuriosisce. Finisce così la vita delle cabine telefoniche: succede a volte che qualcuno “intercetti” la spedizione delle cabine, estragga il cellulare (che beffa, proprio l’assassino dei vecchi telefoni) e scatti una foto. L’ultima volta è successo a Gallarate, in viale Milano: la foto l’ha scattata Francesca Cozzi, una ragazza che sfiora i trent’anni e che pure – prima dell’era del telefonino – ha fatto in tempo a usarle, negli anni delle scuole medie.

In gelido linguaggio burocratico si chiamano PTP: postazioni telefoniche pubbliche. Per tutti sono le cabine, qualcuno da queste parti ancora si lascia sfuggire il lombardismo gabine. Il piano di dismissione è partito nel 2010, rigidamente regolamentato dalle norme con cui l’autorità per le telecomunicazioni (Agcom) detta le regole a Telecom. Numero massimo annuo (tra cabine in strada e posti telefonici pubblici: il vecchio telefono del bar, altro oggetto del passato), ma soprattutto avvisi alla popolazione: adesivi (35 per 35 centimetri sulle cabine, 25 per 25 sulle “nicchie”) da esporre per sessanta giorni, con messaggio chiaro (“Questa cabina sarà rimossa il… “) e con il riferimento (cabinatelefonica@cert.agcom.it o un numero di telefono) da contattare per fare opposizione – si dice in linguaggio burocratico.

Tanta passione nel definire le regole, però, non trova riscontro nell’attenzione degli italiano per il dramma: nei piazzali delle grandi città, di fianco alle fermate del bus, nei dintorni di un ospedale, le povere cabine di solito se ne stanno senza avvocato difensore (raramente un post su facebook, un articolo sul giornale locale) per due mesi e poi scompaiono. Tra quelle in strada, si salvano quelle di alcune località di montagna, dove non tutti i gestori “hanno campo”. Anche a Gallarate – per stare al caso specifico dell’ultima foto – è stato così: in un genocidio silenzioso, le cabine sono scomparse una a una. Da quelle più note (quella a fianco di Palazzo Minoletti in piazza Libertà, buona per chiamare il fidanzato o gli amici al sabato) a quelle più umili, come quelle della misconosciuta piazza Monte Grappa, per citare uno degli ultimi casi. In Lombardia si è scesi da settemila nel 2009 a cinquemila nel 2013, tra cui resiste ancora la prima in assoluto (quella di piazza San Babila, installata dalla Stipel nel 1952 e ovviamente rinnovata più volte)

Ogni volta, la dipartita dei telefoni dissotterra dalla memoria il passato personale: si ricordano le file per chiamare a casa dal mare, i soldati che attendono il turno nei dintorni delle caserme, le telefonate tra fidanzati lontane dai genitori, quella all’intervallo alla scuola superiore, gli scherzi, la comparsa dei gettoni, persino il ricordo i piccoli truffatori di provincia che tentavano di abbindolare i meno avvezzi e piazzare (usate) le prime schede telefoniche (ovviamente oggetto di collezione). Un mondo con meno possibilità – non c’era il telefono in tasca e la lucina rossa lampeggiante del telefono guasto erano una iattura sempre in agguato – che come sempre scatena anche la nostalgia. Anche se la realtà è questa: salvo ospedali, case di riposo e qualche paese di montagna tagliato fuori dalla telefonia mobile, negli altri luoghi è difficile che una cabina raggiunga la media di 3 telefonate al giorno necessarie perché non sia dichiarata inutile.

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Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

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Pubblicato il 03 Febbraio 2016
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