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L’alta tecnologia che ripulisce lo spazio è in formato Pmi. E made in Italy

Chi lo dice che l’innovazione è solo Silicon Valley? Anche un’impresa italiana che ci crede può arrivare lontano: lo testimonia la D-Orbit, nata a pochi passi dal confine con la provincia di Varese grazie a due ingegneri aerospaziali. I loro segreti? Un buon progetto, un giusto modello di business e tante competenze locali

Fabernews43 febbraio 2017

Lo sapevate che le piastrelle in ceramica di cui era rivestito lo scudo termico dello Shuttle per evitare che si incendiasse venivano fatte a Parma? O che a Como una piccola azienda produce apparati di terra per il controllo dei satelliti? Quando si pensa allo spazio, vengono in mente grandi laboratori bianchi e asettici, in stazioni militari nascoste in qualche deserto degli Stati Uniti o della Russia sovietica. Niente di più sbagliato, o meglio, non c’è solo questo.
Anche in Italia c’è l’alta tecnologia e spesso fa base nelle piccole e medie imprese. Per vederlo con i nostri occhi siamo andati a Fino Mornasco, in provincia di Como, in D-Orbit, che è un perfetto esempio di come con altissima preparazione, forza di volontà e grande intuito imprenditoriale si può arrivare fino allo spazio.

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Un’idea contro il sovraffollamento
L’idea iniziale nasce sette anni fa in Silicon Valley dalla mente di due ingegneri aerospaziali italiani, Renato Panesi e Luca Rossettini, e parte da un concetto base: lo spazio è affollato di satelliti, troppo affollato. Dal 1957 ne sono stati lanciati in orbita circa seimila, con un trend in continua crescita. Quando il loro ciclo di vita finisce occupano spazio, perché si trasformano a tutti gli effetti in detriti, e diventano pericolosi. Se infatti non vengono spediti lontano, in orbite cimitero (viene fatto per i più grandi), cadono verso la Terra. Molti si sciolgono attraversando l’atmosfera, ma alcuni riescono a raggiungere la superficie. Risultato: da un momento all’altro potrebbe caderci in testa un pezzo di satellite. Se non è ancora successo è solo per una questione di probabilità. Il progetto principale della D-Orbit mira a risolvere questi problemi.

“Spazzini” ultra-tecnologici pilotati dalla Terra
«Noi abbiamo creato un motore da incorporare ai satelliti – spiega Panesi, maglioncino dolcevita stile Steve Jobs e sguardo entusiasta – che permette di pilotarli a Terra quando hanno smesso di funzionare». I benefici sono evidenti: si elimina la presenza in orbita dei detriti dei satelliti “morti”, si libera spazio e si evita la caduta accidentale e non controllata di pezzi sul Pianeta.
A dirlo sembra facile, ma avere una buona idea non basta. Bisogna trovare qualcuno disposto a investirci denaro. Siamo nel 2009-2010 e Panesi e Rossettini, che si erano conosciuti durante uno stage alla Nasa, decidono di frequentare un master alla Santa Clara University. «Lì ci hanno insegnato come raccogliere i fondi necessari per trasformare la nostra idea in un progetto concreto. Abbiamo deciso di adottare il modello del capitale di rischio, molto diffuso negli Stati Uniti».
Finito il master sono tornati in Italia, hanno subito trovato un investitore disposto a dare 300mila euro per creare una start-up. A marzo 2011 nasce D-Orbit. «Un finanziatore che decide di investire nella creazione di un’impresa è diverso da una banca. Il suo guadagno dipende unicamente dal successo del progetto. Per questo, oltre all’idea in sé, punta tanto anche sulla squadra di lavoro». In pratica deve credere in te e nei tuoi collaboratori. Solo così sarà disposto a finanziarti.

Trentadue dipendenti e quattro sedi
Di qui la scelta dell’Italia come base operativa. «I costi da noi sono minori, è vero, ma siamo tornati anche e soprattutto perché qui ci sono gli ingegneri migliori del mondo». In sei anni D-Orbit ha raccolto cinque milioni di euro in foundraising, conta 32 dipendenti e ha quattro sedi.
«Oltre alla base operativa di Fino Mornasco siamo anche Firenze, in Portogallo e negli Stati Uniti, a Washington, dove c’è l’ufficio commerciale». Il primo lancio di prova di un satellite con il loro motore incorporato sarà fatto ad aprile, dall’India. Dopo 30-60 giorni in orbita tornerà sulla Terra in maniera controllata e con una traiettoria prestabilita. Sarà la prima volta nella storia.

L’avventura di D-Orbit è la prova che nella tecnologia, anche in quella aerospaziale, a fare la differenza sono spesso le piccole realtà. Che ci credono, si impegnano e trovano il modello di business adatto. Ce ne sono tante, spesso poco conosciute, e insegnano che con le competenze giuste e il sacrificio si può fare tutto. O quasi.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 17 Febbraio 2017
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