Idi di Marzo e complotti bresciani, equivoci al processo
In aula la testimonianza dell'ex sindaco di Brescia e un curioso accostamento sugli scritti online di Binda
Si occupa di molte cose il processo del caso Lidia Macchi, anche di presunti depistaggi e di supposti riferimenti letterari a stragi del passato. L’ex sindaco di Brescia, Adriano Paroli (nella foto), ha testimoniato martedì 18 settembre all’udienza del processo contro Stefano Binda, accusato dell’omicidio.
Paroli, sindaco dal 2008 al 2013, in gioventù fu uno studente di giurisprudenza a Milano e, insieme a diversi amici di Comunione e liberazione, alloggiava in alcuni appartamenti messi a disposizione dal movimento. In quel frangente, ha raccontato, incontrò e conobbe Stefano Binda, con cui per un periodo divise, insieme ad altri, una delle case, ma anche Lidia Macchi, seppure non fosse un amico vero e proprio della povera vittima.
A Paroli è stato chiesto se avesse scritto lui la lettera anonima che venne recapitata ai genitori di Lidia e che secondo la procura generale è stata invece scritta da Stefano Binda. L’ex sindaco ha risposto di no. Paroli ha raccontato di aver appreso dai giornali che una testimone avrebbe parlato di una sorta di depistaggio per scagionare Binda: tutto nasce dalla dichiarazione dell’avvocato Vittorini di Brescia il quale ha scritto al tribunale per informarlo che un suo cliente si è dichiarato l’autore dello scritto anonimo. Paroli ha affermato di non saperne nulla. Essendo avvocato conosce ovviamente gli avvocati bresciani Vittorini e Tosoni (testimone al processo e un tempo nel giro degli studenti ciellini) ma ovviamente ha del tutto escluso teorie di complotti o altro.
Durante l’udienza ha preso la parola anche l’imputato, Stefano Binda, per chiarire che l’acronimo “Idi K”, utilizzato per scrivere nel blog “Magre Sponde”, associazione di Brebbia a cui aderisce, significa semplicemente “I don’t know”. Io non so, in inglese. “Non volevo risultare saccente, visto che si trattava di un sito ad argomento letterario e così ho usato quella sigla” ha spiegato in aula. Una nota di polizia giudiziaria accostava la scritta “Idi K” alle “Idi di marzo”, episodio storico noto per la morte di Giulio Cesare, assassinato a coltellate. Era un equivoco e la procura generale l’ha sostanzialmente riconosciuto.
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