La Liuc illumina il lato oscuro dell’impresa familiare

Il libro "Family up!" (Guerini Next) di Federico Visconti e Valentina Lazzarotti affronta uno dei temi più delicati del sistema imprenditoriale italiano: la transizione generazionale

Liuc generico

«Se da una parte il 70% delle imprese non sopravvive alla prima generazione e meno del 50% raggiunge il mezzo secolo di vita, dall’altra ci sono tante imprese familiari che hanno  successo». La professoressa Valentina Lazzarotti per presentare “Family up” (Guerini Next), libro che affronta il tema del passaggio generazionale in azienda, parte da un dato oggettivo che fotografa un fenomeno ancora oggi difficile da inquadrare e spiegare. «Girando per le imprese qualche lato oscuro si vede ancora» ha aggiunto il coautore Federico Visconti, rettore dell’Università Liuc. Un «lato oscuro» che in qualche modo condiziona la comprensione della vera natura dell’impresa familiare.

Dal libro, che analizza quindici storie aziendali di successo, emerge chiaramente che la formula alla base di un buon passaggio di consegne in un’impresa familiare è quasi sempre un mix equilibrato di fattori oggettivi e di valori e relazioni espressione della famiglia di origine. È però quest’ultimo aspetto, permeato da irrazionalità affettiva e da logiche di appartenenza, non sempre coerenti con il cambiamento richiesto, a complicare la transizione.

Questi aspetti sono emersi durante l’interessante tavola rotonda, organizzata dall’associazione Liuc Alumni e moderata dal giornalista Sergio Luciano, a cui hanno partecipato tre giovani imprenditori protagonisti di una transizione generazionale riuscita: Michela Conterno della Lati, azienda termoplastica di Vedano Olona, Giacomo Casati della Fonderia Casati, impresa metallurgica di Varese, e Giacomo Ponti, seconda generazione dell’azienda alimentare piemontese famosa per la produzione di aceto, tra l’altro tutti e tre ex studenti dell’ateneo di Castellanza.

«Per favorire il passaggio e il cambiamento – ha spiegato Michela Conterno, oggi amministratore delegato dell’azienda di famiglia – è fondamentale la consapevolezza del predecessore di non avere più sotto controllo tutto». Una consapevolezza che a volte viene preceduta da una conflittualità come nel caso dell’imprenditrice che ha trascorso un periodo di tre anni fuori dall’azienda di famiglia per fare esperienza nel campo delle risorse umane. «Avrei potuto fare anche una bella carriera fuori dall’azienda – ha aggiunto Michela Conterno -. Sarebbe stata senz’altro più specializzata ma meno interessante e varia rispetto a quello che faccio oggi».

A volte si ritorna nell’azienda di famiglia per motivi affettivi, come nel caso di Giacomo Casati. «La fonderia andava male e mio padre ci stava rimettendo in salute – ha raccontato il giovane imprenditore -. Lui ha avuto il coraggio di farsi aiutare e oggi averlo al mio fianco in azienda  è come avere una coperta di cashmire, è di grande conforto». Importante il ruolo anche di Chiara Casati, sorella di Giacomo, artefice di un efficace piano finanziario che ha portato all’emissione di un minibond per finanziare la digitalizzazione della fonderia.

Per Giacomo Ponti non ci sono stati grandi conflitti con il padre e lo zio che fino all’inizio degli anni duemila guidavano l’azienda. «Abbiamo forzato un po’ la mano – ha detto l’imprenditore – e loro hanno accettato. Ma non c’erano alternative per affrontare due rivoluzioni, come quella della distribuzione e della globalizzazione. Se rimani sempre uguale a te stesso il rischio è di implodere».

Ci troviamo di fronte anche a una rivoluzione culturale, come ha osservato Sergio Luciano. «Se è vero che l’Italia fatica a fare sistema – ha commentato il direttore di Economy – le imprese hanno una grande disponibilità nel condividere la propria esperienza e a raccontarsi. È un fatto straordinario che ci permette di imparare dagli esempi e di essere grandi nel mondo nonostante la politica».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

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Pubblicato il 16 Dicembre 2017
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