Bianco, la recensione dell’album “Quattro”

Il cantautore torinese ha pubblicato il suo ultimo lavoro discografico. Uscito il 19 gennaio con INRI è un piccolo capolavoro

Musica Generica

Al primo concerto di Bianco mi sono trovata di fianco una coppia. Luci soffuse, il tempo dell’attesa in un locale milanese strapieno, nonostante fosse una sera infrasettimanale.

Erano i tempi di “Guardare per Aria” e per Bianco di chiudere un capitolo e aprire quello che l’avrebbe portato poi in tour con Niccolò Fabi e a scrivere il nuovo album. Tra i due, sui trent’anni, lui era stato visibilmente trascinato lì dalla fidanzata, “mi dici cosa ti piace così tanto di Bianco?”, “E’ finalmente uno che ti canta le cose come stanno, senza troppi giri di parole”.

Il segreto della bravura di Bianco non è solo questo ma la sua scrittura ha la capacità invidiabile di costruire con semplici parole grandi immaginari. Lo ha fatto fin dall’inizio e lo fa ancora di più in “Quattro”. Il suo ultimo lavoro è uscito il 19 gennaio per INRI, la casa discografica che è nata proprio per produrre il suo primo disco e che negli ultimi anni ha sdoganato buona parte delle scena musicale torinese. Quello con Bianco è un patto solido nato con “Nostalgina” nel 2011, che nel mezzo ha visto nascere anche “Storia del Futuro” nel 2012 .

Due album che è giusto ricordare, se non altro perchè Bianco aveva fatto capire fin dall’inizio di avere tutte le carte in regola per farsi strada e che sarebbe bastato aspettare per compiacersi della sua crescita artistica. “Quattro” ne è la dimostrazione; si apre con i due singoli più fruibili dell’album, per arrivare a “Organo Amante”, un brano di quasi dieci minuti (nove e diciotto, per i precisi).

Un percorso chiaro da seguire, si entra nel mood dell’album cantando con “30,40,50” che ti resterà nella testa, si muove il piedino su “Felice”, per poi farsi strada tra nove tracce che meritano la stessa giusta attenzione. Non perchè complicate, semplicemente perchè più le ascolti e più ne capisci la bellezza. E non è scontato. In un tempo in cui la musica si assapora un po’ mordi e fuggi, trovarsi tra le mani un album che ti inchioda le orecchie non è da poco. Bianco, in fondo, ha solo fatto quello che desiderava e il risultato è un album prima di tutto autentico, “mi piace ricordare chi sono”, canta nel brano di apertura dell’album.

Alle spalle una squadra solida a supportarlo, in un lavoro in cui la Bianco’s band (così come amano chiamarsi) ha messo tutta l’esperienza raccolta in questi ultimi due anni. Il lungo tour con Niccolò Fabi sembra infatti avergli permesso di trovare il giusto ingranaggio per sperimentare con una nuova consapevolezza e più coraggiosa. La sua influenza si sente in brani come in “Ultimo chilometro” – che regala emozione pura e porta l’ascoltatore nella sua “Torino che è piccola di notte” -,“In un attimo”, “Fiat”.

Gli arrangiamenti sono ben curati e il risultato è un album denso e delicato che attinge dalla scuola cantautorale romana ma con un’attitudine che guarda alla generazione di oggi. Ci sono dei passaggi in cui viene in mente l’ultimo Brunori Sas, ad esempio. E poi ci sono le contaminazioni con altri generi, funk e punk per lo più, dove la parte strumentale si prende lo spazio che merita.

I testi sono dei piccoli racconti. Come un’esigenza profonda, Bianco “sputa” fuori innamoramenti, (“ma la sai una cosa che mi fa impazzire di te, come soffi nei polsi del tuo maglione quando il freddo in provincia fa venire i geloni” canta in Punk Rock con le Ali), inquietudini ( “in un attimo passerà tutto, le crisi servono a pensare”, “In un attimo”), riflessioni (“io lo devo ammettere, non riesco a sopportare chi gioca coi megafoni e dice cose piccole ma non me n’ero accordo che anche l’alba assomiglia al tramonto”, “Ultimo chilometro”), domande ( “ti sei mai chiesto quello che ti piace davvero…condividere paure con chi sa già come non impazzire”, “30,40,50”), dolcezza nella filastrocca scritta sui tetti di Ortigia o in Padre (adesso tocca te spiegare le stelle, ricordare i sentieri e diventare il più grande storico…occupare tutto il cielo, con lo sguardo di chi ha vinto tutto davvero), consapevolezza (“mi guardo un po’ da lontano, in fondo non son così strano”, Organo Amante) . 

Il resto è tutto da ascoltare. Arriverete alla fine del disco con un solletico alle emozioni. Come era successo durante quella serata milanese, quando il fidanzato trentenne, alla fine, il concerto se l’era visto tutto.

Dal blog https://avreivolutosposareunlunapop.com/ 

Adelia Brigo
adelia.brigo@varesenews.it

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Pubblicato il 02 Febbraio 2018
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