L’appello: ritrovare la storia perduta che raccontava la nonna
“Qualcuno mi aiuti a ricostruire la storia di Cechin Burlin”. Ci abbiamo provato. Ed ecco la risposta
Storie di famiglia sono cultura popolare. Chi ha la fortuna di essersi perso nei racconti dei nonni, sa dell’esistenza di quel “tarlo” che ti fa ricordare a spizzichi e bocconi di quell’aneddoto capace di intrecciarsi fra il sentito dire e l’accaduto, fra memoria e parole.
Quindi è un piacere dare retta alla lettrice Daniela che lancia a Varesenews un SOS davvero particolare: “Aiutatemi a ricostruire la storia che mi raccontava mia nonna”, che era di Groppello, frazione a lago di Gavirate. Ecco il testo della sua richiesta
Ciao, vi scrivo per questo motivo: mia nonna è venuta a mancare da poco. Ci raccontava sempre la storia del Cichin Burlin (credo si scriva così) un bimbo grande come un fagiolo, solo che nessuno si ricorda questa storia che veniva raccontata in dialetto varesotto. Ci potete aiutare? Perché non riusciamo a trovare le origini di questa storia e tanto meno qualcuno che la conosca: grazie mille per l’aiuto che ci darete.
L’unica frase che ci ricordiamo è questa..
“Uh che bei bo, lasa sta’ chi bo che in mia to.” (Spero sia scritto giusto in dialetto)
Daniela B.
È difficile arrivare su due piedi al dunque. Quindi l’invito è esteso a tutti i lettori che avessero notizie di Cichin Burlin.
Nel frattempo la domanda è stata girata ad un esperto di queste cose. Gregorio Cerini, 80 anni, scrittore dialettale, trova l’ispirazione nel suo buen ritiro di Arcumeggia, nel cuore selvaggio della Valcuvia per scrivere libri in vernacolo varesino. Ne ha fatti una trentina, di cui 16 pubblicati e tra l’atro domenica 11 febbraio presenterà proprio Ul Giuanin senza pagüra d’Arcumegia, una delle sue storie, ambientata sui monti della valle.
Quindi? Da dove arriva questo “Cichin Burlin”?
«Non è facile risalire ai personaggi delle storie locali», spiega Cerini. «Ma nei paesi della Valcuvia era diffusa molti anni fa la storia del Cechin Burlot, che potrebbe avvicinarsi a quella citata dalla vostra lettrice».
«Non so di preciso di cosa trattasse quel racconto, aveva a che fare con un ragazzo che aveva dei parenti con nomi simili: era figlio del “Cec”, nipote di nonno “Cechin” e il bisnonno veniva chiamato “Cecash”» (qualcosa che potrebbe oggi tradursi come Francesco, Franceschino e Francescaccio ndr).
Non c’è dubbio che “Burlot” si riferisca ai fagioli, e a tutto ciò che ne deriva applicato alle faccende umane: il modo d’essere, e altre abitudini. Così nei borghi si diveniva “famosi”: da persona tutto sommato anonima, era il dettaglio a trasformarti in personaggio, e se c’era la “polpa”, diventavi piccola leggenda.
«Sì, è così. Sono storie che nascevano e si sviluppavano in contesti completamente diversi dai nostri. Non c’era di sicuro la televisione e le persone spesso la sera si ripetevano questi racconti per stare in famiglia e ricordare i tempi che furono e quello che accadeva nelle generazioni passate in paese e nelle comunità vicine».
La caccia alla storia di Cichin Burlin è ancora aperta.
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Ciao a Daniela e alla redazione. Ho appena acquistato un libro che si chiama Chichin e la sua banda (si trova facilmente su ebay) penso che possa avere a che fare con ciò che state cercando. Lo leggo tenendo presente i vostri ricordi e poi vi faccio sapere se trovo delle correlazioni. Lo spero!
A presto, Lidia