Alla radice delle difficoltà degli ospedali del territorio
Nuova nota di Carlo Ballerio, ex vicesegretario generale dell'ospedale di Varese

E’ giusto non ragionare in termini ospedalo-centrici, ma gli ospedali ci sono e servono, per cui non è superfluo parlarne.
Dal 1 Gennaio 2016, con l’entrata a regime della cosiddetta“Riforma Maroni”, tutti i presidi ospedalieri, i poliambulatori e i servizi socio assistenziali della Provincia di Varese sono confluiti in capo a due Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST), quella della Valle Olona e quella dei Sette Laghi. E’ stata una scelta che ha allontanato le Direzioni dai diversi ospedali e dai loro territori di naturale afferenza, e non è questo un tema di scarsa rilevanza.
La Regione si è limitata a trasferire i pesanti vincoli di bilancio, ma non si è fatta carico direttamente dell’integrazione e della finalizzazione organica dei diversi Presidi, cioè di una prospettiva strategica, ma l’ha rimessa alle singole ASST, attraverso il “Piano di Organizzazione Aziendale Strategico” che ciascuna di queste ha dovuto produrre, senza un solido quadro organico di riferimento di livello regionale. Ciascuna ASST ha stabilito autonomamente l’articolazione dell’offerta sanitaria per l’ambito territoriale di competenza. In ciò però le ASST, per carenza di conoscenze e di confronto con il territorio, non hanno finalizzato i Presidi Ospedalieri, cioè non hanno deciso per ciascuno quali servizi dovesse erogare in relazione ai bisogni di salute di territorio di riferimento che non è omogeneo, ma diversificato in quanto al bisogno di salute. Si è congelato lo “status quo”, dimenticando che una legge fondamentale dei servizi sanitari dice che questi non rimangono immutati nel tempo, ma che o migliorano o peggiorano e il semplice congelamento dello “status quo” è il primo passo di un declino inevitabile, non arginabile con “pezze” estemporanee. E’ questo il vero nodo della responsabilità politico-amministrativa, che, se non risolto, porta a rompere il rapporto fiduciario cittadini/istituzione.
Non stupiscono allora ile proteste per il crearsi di “buchi” assistenziali sia nei cosiddetti presidi maggiori e ancor di più in quelli minori, sui quali però la popolazione, che non vuole essere considerata di serie B, chiede poter continuare a contare almeno per i servizi essenziali per i diversi ambiti territoriali, non solo per ragioni di prossimità, ma anche e soprattutto per la distanza dai presidi maggiori di riferimento. E non stupisce neppure la scarsa propensione dei medici a vincolarsi a presidi dal futuro incerto e già oggi al limite della sopravvivenza.
Nel lontano 1968 l’allora Ministro Mariotti, si assunse la responsabilità di una Riforma Sanitaria che classificava gli ospedali, distinguendoli in Regionali, Provinciali e Zonali, definendo la graduazione dei servizi che ciascuna tipologia di nosocomi doveva offrire. Non era un sistema perfetto e non fu esente da critiche, ma ha retto per molti anni, superato poi dai progressi della medicina e dalla mutata domanda del territorio. Un sistema non perfetto, in parte inquinato da pressioni politiche e baronali, che però ha fatto un po’ di chiarezza in un mondo che allora comprendeva tutto e il contrario di tutto. La regionalizzazione della sanità non ha prodotto nulla di analogo per il sistema ospedaliero, ma anzi ha creato situazioni in cui tutte le vacche sono grigie, mortificando gli operatori e i cittadini. E’ difficile distinguere se la causa di ciò è una volontà politica o la mancanza di una solida e sperimentata struttura tecnico- sanitaria, o se le due motivazioni coincidono.
Carlo Ballerio, ex vicesegretario generale dell’ospedale di Varese
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