Binda: «Ce l’aspettavamo»
Gli avvocati Esposito e Martelli ricorreranno in appello: «Non c’erano elementi per arrivare ad una condanna»
No, non doveva finire così, per la difesa. Infatti non è finita. Perché contro la decisione della Corte d’assise di Varese si ricorrerà in appello. I legali di Stefano Binda non si sottraggono ai commenti dopo la lettura del dispositivo che condanna quest’uomo di 50 anni a passare il resto dei suoi giorni in carcere accusato di essere l’omicida di Lidia Macchi (foto sotto).
Sono volti, quelli di Patrizia Esposito e Sergio Martelli di chi è provato per l’ordalia, la difesa di un imputato per fatti lontani nel tempo e oggi ricondotti a verità processuale capace, secondo giudici togati e non, di inchiodare alle sue responsabilità l’uomo che siede alla sbarra.
Ora ci sarà il secondo grado di giudizio – a Milano -, ma se ne parla dopo le vacanze estive, in seguito alla lettura delle motivazioni che saranno note a fine luglio e dove gli avvocati cercheranno di capire qual è il ragionamento fatto dal giudice per decidere. Perché non riconoscere i motivi futili e abbietti e invece l’aggravante della crudeltà?
Se l’è chiesto l’avvocato Martelli: «Dobbiamo capire che peso ha l’eliminazione di futili e abbietti motivi, averli tolti ci incuriosisce molto di più. Abbiamo rivoltato questo processo come un calzino e non c’erano elementi per arrivare ad una condanna. Così com’è questa sentenza è ingiusta».
E l’imputato come ha preso la sentenza? «Binda ha ringraziato tutti coloro che hanno aiutato a difenderlo».
Patrizia Esposito che si dice “annichilita” dalla decisione della corte: «Mi ha detto “ce l’aspettavamo”», ha affermato, riferendosi al brevissimo colloquio con Binda non appena letta la sentenza.
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