Giuseppe e Marisa, cosa accadde quella notte maledetta?

Il processo Piccolomo entra nel vivo: gli audio dei soccorritori arrivati sul posto che comunicano con la centrale operativa 118: “L’auto in fiamme sembra parcheggiata”

Avarie

«No non non si è ribaltato. È una cosa un po’ strana. Sembra che abbia parcheggiato in mezzo al prato».

 

La telefonata nel cuore della notte è quella del caposervizio dell’ambulanza della Croce Rossa Italiana di Gavirate che fu tra i primi mezzi di soccorso ad arrivare in un prato lungo la strada provinciale 31 della Monvallina il 20 febbraio del 2003: la chiamata di soccorso parlava di un’auto ribaltata in fiamme, ma secondo i volontari del soccorso, all’apparenza, la Volvo Polar sembrava parcheggiata.

Si è sentita questa telefonata, si sono viste le immagini del giorno dopo, con l’auto carbonizzata dove trovò la morte Marisa Maldera, 49 anni, secondo l’accusa uccisa dal marito Giuseppe Piccolomo, in carcere per l’assassinio di Carla Molinari e oggi in aula nella “gabbia”: un anziano che parlotta col difensore e porge le mani per le manette degli agenti di custodia al momento di tornare in prigione, perché accusato di aver tolto la vita in una maniera altrettanto barbara anche alla consorte.

Sono, quelle di oggi di fronte alla Corte d’Assise (presidente Orazio Muscato), le prime battute di un processo che terminerà probabilmente in pieno inverno.

Ci sono una sessantina di testi: sono state sentite le figlie dell’imputato, che hanno ricostruito, due settimane fa, la temperie famigliare di casa Piccolomo.

E sono stati sentiti oggi anche gli agenti che fecero le primissime indagini – il carabiniere della stazione di Laveno Mombello Stefano Ferini – e chi invece, tredici anni dopo i fatti, riprese in mano i primi elementi dopo la riapertura del caso: Manuel Cinquarla, comandante dell’ufficio comune di polizia locale del medio Verbano, il sovrintendente capo Silvia Nanni e il sovrintendente Giuseppe Campiglio. Se questi ultimi due poliziotti del pool messo in campo dalla procuratrice Carmen Manfredda (pubblico ministero milanese che riaprì le indagini dopo il patteggiamento di Piccolomo per omicidio colposo nel 2006) riaprirono i sacchi contenenti i reperti costituiti dagli indumenti indossati dall’uomo quella sera, la ricostruzione dei tragitti ipotizzati dall’imputato in auto la si deve a Cinquarla, che ha realizzato un video nel quale viene trasportata in un’auto una tanica di benzina, come sostenuto da Piccolomo e dalla difesa: carbunarante che si sarebbe sparso nell’abitacolo, col rischio di incendio per via di una sigaretta accesa dalla moglie e il rogo seguito all’uscita di strada nel tentativo di farle spegnere il mozzicone.

Benzina utilizzata per dare fuoco alla macchina con la moglie all’interno, intontita dagli psicofarmaci, invece, per la procura generale.

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Due versioni profondamente confliggenti che cominciano a far mettere a fuoco ai giudici popolari la portata dei fatti presentati, che nel dibattimento potranno trasformarsi o meno in prove.

Un particolare importante ha riguardato la ricostruzione del percorso fatto quella notte dai coniugi: c’è una pattuglia dei carabinieri che li fermò alle 2.11 e li lasciò proseguire alle 2.20. E poi c’è l’orario della telefonata al 118, alle 3.39.

Questi sono dati oggettivi, ma cosa accadde però in quel lasso di tempo? Dove andò la station wagon nel mezzo della gelida notte di febbraio per poi trovarsi nel mezzo di un campo illuminato dal fuoco?

Il 13 luglio la prossima udienza dove altri aspetti verranno esaminati, vedi quelli legati alla presenza di alcune polizze assicurative già citate nel corso dell’esame in aula da parte delle due figlie.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 29 Giugno 2018
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