“Vuoi migliorare il mondo? Sorridi”

Era strapieno il teatro Santuccio per accogliere Pietro Bartolo, il dottore di Lampedusa che gira l’Italia per smantellare le bugie che si raccontano sugli sbarchi, invitato a Varese dal centro Gulliver e intervistato dal direttore di Varesenews Marco Giovannelli

Il teatro Santuccio strapieno per Pietro Bartolo

Era strapieno il teatro Santuccio per accogliere Pietro Bartolo, il dottore di Lampedusa che gira l’Italia per smantellare le bugie che si raccontano sugli sbarchi che da quasi trent’anni si susseguono nell’isola dove è nato, vive ed opera.

Pietro Bartolo, il medico degli sbarchi: “Vengo a Varese a raccontarvi cosa succede davvero”

Il suo è stato un lungo racconto, accompagnato dalle foto della sua “chiavetta” di cui parla anche nel suo libro, “Le stelle di Lampedusa”: quello che contiene le immagini più dure, quelle che testimoniano la durezza dell’emigrazione di chi viene in Europa e la loro umanità.

Tra quelle foto, incidentalmente, ci sono le gesta eroiche (“Ma non dite che sono un eroe, nè che sono eroi i lampedusani: siamo solo gente con determinati valori che si trovano davanti a dei fatti, e a delle persone in difficoltà”) di tutti coloro che da decenni accolgono delle persone stremate da lunghissimi viaggi per fuggire dalle guerre, che hanno visto l’inferno in Libia, che hanno subito violenze e torture pur di arrivare fino all’Europa, nella speranza di stare un po’ al sicuro.

Un’Europa che li accoglie nella piccola isola “più vicina alla Libia che all’Italia” con un monumento realizzato da Mimmo Palladino : una porta che guarda il mare da cui arrivano le barche della speranza. «Una porta sempre aperta per l’Europa. E io credo che non ci sarà nessun ministro che può chiudere quella porta».

Il teatro Santuccio strapieno per Pietro Bartolo

Tra terribili immagini di cadaveri galleggianti o affondati e foto di meravigliosi sorrisi di bambini che “ce l’hanno fatta”, tra immagini di salvezza nell’ambulatorio e di impotenza, Bartolo ha raccontato semplicemente quello che ha visto, nei suoi 28 anni di professione provocando sorrisi e lacrime, e con un unico obiettivo: aprire gli occhi alle persone.

Perchè «Quando hanno aperto i campi di concentramento, in molti hanno detto “non sapevamo”. Noi non possiamo nemmeno dire “Non sapevamo” quando verremo interrogati sulle responsabilità di questo genocidio».

La verità è che «Abbiamo perso il rispetto dell’umanità, del diritto alla vita: riprendiamoci almeno questo». E per farlo l’unico antidoto è che «Ognuno deve fare la sua parte, anche piccola: ognuno faccia quello che può».

Partendo, magari, dalle sue parole: «Io lo faccio da tre anni: prima ero un medico di trincea, che nessuno sapeva che faceva. Poi ho avuto l’opportunità di incontrare Francesco Rosi, che ha realizzato il film “Fuococammare” e ha potuto raccontare al mondo quello che stava succedendo. Poi ho finito per scrivere libri, cosi che la gente potesse leggere anche se non veniva a vedere. Poi ho capito che non bastava nemmeno quello, e allora ho cominciato ad andare in giro a raccontarlo, persona per persona, perchè capisco che non posso pretendere che le persone arrivino a Lampedusa, e allora mi muovo io».

«Tutti dobbiamo fare la nostra parte. Dobbiamo andare in giro a dire che quello che ci dicono sono tutte bugie: che portano le malattie, e non le portano, che fanno la pacchia. Ma quale pacchia? E la bugia più grande di tutti è che questa è una invasione. L’invasione ce l’hanno nella loro testa, i numeri dicono il contrario».

E a chi mi chiede: “Posso venire a Lampedusa ad aiutare?” io rispondo “No. Noi ce la facciamo. Se volete fare qualcosa, fatela qui, da voi. E se non sapete che fare, salutateli. Chiedetegli come si chiama, sorridetegli. E’ già importantissimo»

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 16 Novembre 2018
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