Il mondo è caotico, l’economia è sofisticata e non esistono complotti

Giorgio Arfaras e Ubi banca hanno presentato il XXIII Rapporto Einaudi. Il rallentamento della globalizzazione è una bolla mediatica. La vera questione è la mutazione tecnologica in atto

Economia generiche

Giorgio Arfaras è come quegli chef che propongono i piatti scomposti, dove tutti gli ingredienti della ricetta sono ben separati nel piatto per essere poi riportati ad unità da chi siede a tavola. Se si applica questo metodo a una lezione di economia, il risultato può essere  sorprendente. Dopo oltre un’ora e mezza di discussione sul rallentamento della globalizzazione, sui nuovi equilibri tra Cina e Usa, sull’efficacia delle politiche economiche, sul mutamento del mercato del lavoro, sugli effetti della Brexit e sulla fine delle ideologie, il pubblico era ancora lì, pronto ad ascoltare.

La presentazione del XXIII rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia curato da Mario Deaglio del centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi, in una Sala Campiotti completa in ogni ordine di posti, è andata così. Sulla bravura e abilità di Giorgio Arfaras, economista che firma quel rapporto insieme ad altri sette colleghi, non si discute. A tutto questo si aggiunge anche la formula voluta da Ubi Banca, sostenitrice del centro di ricerca economico, che mette al tavolo dei relatori i vertici territoriali dell’istituto di credito, dando al rapporto una dimensione glocale.

IL MONDO CAMBIA PELLE? 

Prima di iniziare la sua analisi, Arfaras è stato preceduto da due interventi che hanno introdotto alcuni temi di fondo. Fabio Lunghi, presidente della Camera di Commercio di Varese, ha sottolineato l’importanza della sostenibilità nell’economia e anche nei rapporti umani, mentre Luca Gotti, responsabile della macro area Bergamo e Lombardia Ovest di Ubi Banca, ha aperto una riflessione sulle disuguaglianze e sul passaggio da globalizzazione a cooperazione globale.

Sulla attuale situazione economica globale, Arfaras è stato a dir poco tranciante: «Il rallentamento della globalizzazione è una bolla mediatica». La vera questione è un’altra: è la mutazione tecnologica in atto. «Nell’ottocento con l’avvento dell’energia elettrica – ha spiegato l’economista – i produttori di candele sono andati in crisi e la manodopera è stata riassorbita nell’arco di dieci anni dalle fabbriche di lampadine. È stata una disoccupazione temporanea con caratteristiche precise perché si trattava di persone che non avevano il diritto di voto, perciò erano ininfluenti dal punto di vista del consenso. Oggi i disoccupati votano e la loro condizione non può essere ignorata dai politici».
Nella quarta rivoluzione industriale chi ha perso il lavoro a causa dell’innovazione tecnologica non viene riassorbito in modo automatico dal sistema, anzi, la disoccupazione tende a diventare strutturale. «Il reddito di cittadinanza esiste perché c’è il diritto di voto – ha sottolineato Arfaras – quindi il cittadino è legittimato a chiedere al potere politico un reddito indipendentemente da quello che fa».

UN MERCATO DEL LAVORO DISALLINEATO

Industry 4.0 è un vero e proprio salto antropologico che non ha paragoni rispetto al passato. Dopo la seconda guerra mondiale chi lasciava la campagna aveva un futuro lineare che si compiva all’interno delle fabbriche del nord. «Ai contadini del sud che arrivavano a Torino per lavorare alla Fiat – ha detto Arfaras – non si chiedevano competenze specifiche se non di rispettare le regole e arrivare al lavoro con puntualità. L’innovazione tecnologica che stiamo vivendo ha invece ampliato notevolmente le competenze di partenza dei nuovi lavoratori». Questa è la prima grande discontinuità con la storia recente. Domanda e offerta di lavoro non si incontrano più perché le competenze offerte dai lavoratori sono più basse di quelle richieste. Il mercato del lavoro si è dunque a sua volta polarizzato: da una parte gli «ultraingegneri», con competenze molto alte, e dall’altra le badanti, fino a quando non saranno sostituite dai robot. In mezzo ci sono quelli che lo storico israeliano Yuval Noah Harari definisce «le masse inutili», rese tali dalla tecnologia, potenziali destinatari di provvedimenti come il reddito di cittadinanza perché, a differenza del passato, queste masse votano e creano consenso politico.

LE AZIENDE ITALIANE DEVONO ACCORPARSI E CRESCERE

Nel contesto globale, l’Italia non è messa male. Dal 1992 ha sempre avuto un saldo primario positivo, cioè spende meno di quanto incassa, ed è un Paese che esporta molto, indice di una buona competitività del suo sistema industriale. Buoni risultati che vengono frustrati dal macigno del debito pubblico e dagli interessi che paghiamo su quel debito. Secondo Arfaras, il tallone d’Achille del sistema è però la dimensione di impresa, ancora troppo piccola. «Il nanismo delle nostre imprese, dove vengono impiegati i 23 milioni di lavoratori italiani, è il vero malessere italiano – ha detto l’economista – Le imprese dovrebbero accorparsi per competere sui mercati internazionali e fare economie di scala, invece abbiamo un governo che incentiva fiscalmente il nanismo».

NON CREDETE AI COMPLOTTI

«Attenzione – ha concluso Arfaras – non ci sono complotti o finanzieri avidi, è l’economia che è complessa e sofisticata. Il mondo è caotico e senza controllo è questo che ci fa paura, ma piuttosto che ammetterlo pensiamo che ci sia qualcuno che manovra, il Soros della situazione, oppure il nemico esterno chiamato euro. Se non ci liberiamo di questo modo di vedere il mondo, non ne usciremo mai».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 20 Febbraio 2019
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