Whisky e zanne, Cassazione: “Nuovo giudizio in Appello“

Al centro della disputa la confisca della più grande collezione di superalcolici al mondo. “Vale un miliardo“

Avarie

Tutto era partito dall’operazione “Era glaciale“ così chiamata dalla Guardia di Finanza di Varese che nel 2016 mise sotto sequestro un intero caveau di preziosissimi liquori da primato, forse la più grande collezione di whisky pregiati nella disponibilità di un funzionario di banca di origini emiliane.

L’uomo, a lungo tempo residente insieme alla famiglia, a Lavena Ponte Tresa, venne indagato per i reati di ricettazione, riciclaggio, contrabbando nel movimento delle merci attraverso i confini di terra e gli spazi doganali, sottrazione all’accertamento ed al pagamento dell’accisa sull’alcol e sulle bevande alcoliche e impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato.

Il procedimento penale sta seguendo il suo corso ma su quanto sottoposto a confisca pendeva fino a non molto tempo fa un ricorso nientemeno che in Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello di Milano.

L’avvocato Corrado Viazzo impugnò proprio di fronte ai giudici romani questa decisione di rigetto rispetto al decreto del Tribunale di Varese del 24.7.2017, “con cui era stata disposta la confisca di beni mobili (preziosi, monete d’oro, 20.000 bottiglie di alcolici, reperti d’interesse paleontologico, minerali), per un valore stimato di oltre un miliardo di euro“.

Per i giudici della Cassazione “(…)In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il requisito della pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca, non può essere desunto dal mero “status” di evasore fiscale seriale, in quanto, per stabilire se il proposto viva abitualmente con i proventi dell’attività delittuosa, occorre considerare la struttura dei reati commessi – assumendo rilievo le sole condotte generatrici di un profitto e non anche quelle meramente dirette ad evitare il pagamento di imposte riferite a redditi lecitamente prodotti – nonché l’eventuale definizione in sede conciliativa della pretesa fiscale da cui sia derivata il recupero dell’imposta evasa (…)“.

Inoltre “egualmente illogica la considerazione sviluppata dal provvedimento impugnato, nella parte in cui sostiene il giudizio di pericolosità desumendolo dall’illecita provenienza dei beni, sottoposti prima a sequestro e poi a confisca, con giudizi generalizzati e contraddetti da massime di esperienza (come per la disponibilità di materiale in argento, ritenuto di provenienza illecita solo perché recante marchi di provenienza elvetica, ma senza dimostrare che l’acquisto relativo sia stato effettivamente operato in Svizzera e con violazione delle norme doganali; analogamente per le bottiglie di liquori, dotati di contrassegni che denunciano l’assolvimento del pagamento dei tributi, e rispetto ai quali non è dimostrabile, per la sola natura dei beni, che l’importazione sia avvenuta con sottrazione dei pagamenti dei diritti di confine; allo stesso modo, le monete d’oro, non per il sol fatto di essere state coniate in altri stati, in quanto ritenute nella disponibilità del proposto in territorio italiano, dimostrano l’illecita provenienza delle monete stesse)“.

Secondo i giudici romani “il provvedimento deve, pertanto, esser annullato con rinvio alla Corte d’appello di Milano che procederà a nuovo giudizio in punto di accertamento del requisito della pericolosità del Conti alla stregua dei ricordati principi di diritto» e per questi motivi il Giudice «annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione“.

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Pubblicato il 19 Aprile 2019
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