Ex carabiniere scagionato dalle accuse: «Non diffamò il datore di lavoro»
L’uomo 60 anni, dismessi i panni dell’arma cominciò a lavorare in una ditta di pompe funebri
Sei anni. Tanto è durato il processo – giunto alla conclusione della fase d’appello – che ha visto come imputato un maresciallo dei carabinieri in congedo della provincia di Varese il quale dopo aver dismesso i panni dell’Arma trovò lavoro in una azienda di pompe funebri.
Un difficile rapporto col datore di lavoro, però, fu la scintilla che fece scatenare una furiosa azione legale nei confronti dell’ex militare, uscito però “pulito” dall’ombra accusatoria messa nero su bianco nel capo di imputazione nel quale gli venivano contestati la diffamazione, le minacce e le ingiurie.
«Una lunga storia quella carabiniere che dopo aver partecipato ad attività investigative di grande rilievo nel territorio di Varese, anti droga, anti rapina ecc, si è trovato coinvolto in una vicenda processuale in seguito ad una querela per diffamazione, minacce e ingiurie», spiega il legale Furio Artoni.
«Dopo il congedo dall’Arma – spiega l’avvocato – , il maresciallo prestò attività di assistenza in un’impresa di pompe funebri, ed in quella veste, a causa di alcune divergenze si dimise dall’incarico. Ma il datore di lavoro lo inseguì con una serie di querele che sfociavano in un processo per ben quattro capi di imputazione».
Una processione di udienze che arrivarono al primo grado, quando il maresciallo venne assolto da tre accuse e condannato per diffamazione anche al risarcimento del danno.
In seguito all’impugnazione della sentenza, l’avvocato Furio Artoni chiese l’assoluzione sostenendo la «pretestuosità delle accuse e l’infondatezza della querele fondate su una volontà di rivalsa legate all’ambiente di lavoro. Richieste accolte dalla decisione del giudice monocratico di Varese Stefano Colombo che ha assolto l’ex carabiniere sessantenne per non aver commesso il fatto. Dunque con formula piena».
Nell’appello era stata espressa la volontà di rinunciare alla prescrizione, proprio per il desiderio di non voler intaccare la sua onorabilità di servizio.
«Questa sentenza fa giustizia non solo dell’uomo ma anche del Carabinieri che in più di un’operazione aveva rischiato la vita affrontando pericolosi criminali», conclude l’avvocato.
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