Economia sostenibile e buona finanza hanno in comune la pazienza

Le logiche dell'investitore "fai da te" sono quasi sempre dettate dall'emozione e guardano al breve periodo. I migliori investimenti sono invece quelli che guardano in prospettiva. Ragaini (Banca Generali): «Gli investimenti sostenibili nel tempo sono meno rischiosi»

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L’economia sostenibile e la buona finanza hanno in comune la pazienza. A prima vista potrebbe sembrare una contraddizione, ma è quanto emerso nel convegno organizzato alle Ville Ponti da Banca Generali private, in collaborazione con l’Unione degli industriali della provincia di Varese, e moderato dal giornalista del “Corriere della Sera” Federico De Rosa.

Le basi su cui poggia questa affermazione le ha spiegate molto bene Paolo Legrenzi, professore di psicologia cognitiva all’università Ca’ Foscari di Venezia, “prestato” per l’occasione all’economia comportamentale. Guardare in prospettiva e non all’immediato, agire con razionalità e non con emotività, affidarsi ad esperti di finanza piuttosto che «al fai da te» sono i tre pilastri che reggono una visione del mondo in cui il legame tra gestione dei risparmi e sostenibilità, economica, sociale e ambientale, è determinante. «Bisogna saper aspettare – ha detto Legrenzi – i migliori investimenti sono quelli impostati sui tempi lunghi. Le emozioni sono funzionali e quando sono abbinate a tempi brevi sono letali per i nostri risparmi. La paura di perdere prevale sempre anche sulla gioia del guadagno».

Il professore ha richiamato l’esempio del fondo sovrano norvegese che con i suoi mille miliardi di dollari di asset è il più importante al mondo. Ebbene, i freddi norvegesi hanno deciso di non reinvestire più in società che operano nel campo petrolifero i proventi che derivano dai loro giacimenti di petrolio. Gli effetti di questa dismissione si vedranno solo nel lungo periodo, una scelta che va esattamente nella stessa direzione del mondo nell’era di Greta Thunberg.

Se i tempi sono dunque maturi per questa convergenza, cioè tra finanza e sostenibilità, ci si chiede anche se ci sia bisogno di guardare il mondo con particolari lenti politiche o contraddistinguere le scelte di investimento finanziario con un bollino etico ben visibile agli occhi dell’investitore. L’economia reale, rispetto ai fondi finanziari, sembra più orientata a questo riconoscimento. Una necessità che emerge dalle stesse esperienze raccontate al convegno dall’imprenditore bustocco Fabio Boscacci tra i fondatori di inHouse 2020, che costruisce case riutilizzando container dismessi, e da Marco Turri, manager di Geocycle società del gruppo Lafarge Holcim, specializzata nella produzione di cemento che ha uno stabilimento a Comabbio. Adottare nel proprio processo produttivo il concetto di economia circolare, con il riutilizzo di rifiuti e scarti provenienti da altre lavorazioni, richiede non solo una diversa visione culturale ma anche molti investimenti, soprattutto in ricerca e sviluppo. Scelte con ricadute nel lungo periodo, che puntano dunque ad attrarre capitali pazienti.

Secondo l’economista Gabriele Pinosa, è importante non dimenticare che queste scelte rappresentano un’opportunità di guadagno. Non si tratta di un atteggiamento cinico quanto, piuttosto, utilitarista. «Oggi ci rendiamo conto – ha sottolineato Pinosa – che queste sono occasioni per produrre valore e pertanto devono rispettare criteri di economicità, quindi diventa fondamentale conoscere con precisione quali e quanti sono i danni ambientali. È ciò che, per esempio, ha fatto un gruppo di assicurazioni che, decidendo di investire in forestazione per contrastare i danni della deforestazione, ha calcolato quanto avrebbero risparmiato in futuro».

Quando un determinato prodotto o servizio è di moda, in genere le offerte, comprese quelle false, si moltiplicano. Oggi i fondi etici proliferano, ce ne sono moltissimi e la scelta, quando lo scaffale è pieno, diventa davvero difficile per il singolo investitore. Motivo per cui bisogna abbandonare il «fai da te» e  affidarsi a un consulente preparato. «In passato il criterio era quello dell’esclusione – ha detto Luca Agostini, senior advisor di Mainstreet Partners – Si guardava negli asset del fondo e si escludevano quelli che trattavano armi, petrolio e carbone e tutti quei prodotti considerati non etici. Oggi è più difficile se pensiamo che solo nel 2011 sono stati immessi sul mercato 300 fondi etici di cui un centinaio in Italia».

Gli strumenti per pesare l’eticità di un fondo però ci sono. La sigla magica è ESG, dall’inglese environmental, social and governance, è la nuova metrica di rischio che tiene conto dei fattori ambientali, sociali e di governance e del loro impatto sulle performance dei titoli nei quali investe un fondo. «Il ruolo del consulente – ha proseguito Agostini – è fondamentale perché occorre entrare nel merito e analizzare la marea dei dati ESG che riceviamo dai fondi. E non sempre tutti questi dati corrispondono alla realtà. Alla fine si esprime un punteggio che va da zero a cinque, dove la sufficienza si raggiunge con un tre».

Il ruolo del consulente finanziario sembra dunque ancora più importante in questa fase storica. Il vicedirettore generale di Banca Generali, Andrea Ragaini, si affida a un vecchio detto della nonna milanese: Ofelè, fa el to mestè. Ovvero: pasticciere, fai il tuo mestiere. Non bisogna improvvisarsi esperto ma cercare di fare ciò che si è in grado di svolgere esattamente. Un monito che sembra ritagliato su misura per chi fa finanza. «Solo facendo il nostro lavoro – ha concluso Ragaini  – possiamo  fare finanza etica. Gli investimenti sostenibili nel tempo sono meno rischiosi e i filtri ESG consentono di individuare con più precisione i singoli rischi. Dobbiamo sforzarci di renderli fisicizzabili e quindi concreti agli occhi dell’investitore. Ed è solo facendo il proprio business che si possono raggiungere gli obiettivi di sostenibilità».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Giugno 2019
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