I due Matteo e le loro granitiche incoerenze

Enzo Laforgia, consigliere comunale, storico, docente, interviene nel dibattito commentando gli ultimi fatti di politica nazionale: e sottolineando le incoerenze dei più esposti dei nostri politici

Matteo Renzi vs/ Matteo Salvini

Dev’essere colpa del nome. Perché poi uno si convince di incarnare veramente il nome che gli è stato appiccicato addosso. «Dono di Dio»: questo dovrebbe essere il significato del nome ebraico, che è stato latinizzato in Matthaeus, Matteo.

Provando ad immaginare di essere stati noi i destinatari di questo “dono”, mi verrebbe da dire che non ci è stato fatto un grande regalo.

Probabilmente, interpretando se stessi come un dono inviato sull’italico suolo da qualche simpatica divinità, i due “Matteo” nazionali hanno perso di vista la relazione con coloro i quali (i cittadini elettori) li hanno fatti comodamente sedere sugli scranni parlamentari. Sono, i due “Matteo”, eletti. Non da una divinità, ma da quello che resta del cosiddetto popolo sovrano. Eletti, cioè, letteralmente, “scelti”. E sono stati scelti, i due “Matteo”, sulla base di quanto hanno raccontato, detto, scritto, twittato, postato, chattato, durante la campagna elettorale, che ci ha accompagnati sino al 4 marzo del 2018. Quando, cioè, i cittadini che hanno il potere di scegliere, li hanno scelti.

Certo, i nostri prescelti nel corso degli ultimi decenni ce l’hanno messa tutta per rendere sempre più difficile la scelta. E infatti, il popolo sovrano ha iniziato a perdere la voglia e l’entusiasmo per uscire di casa, recarsi presso un seggio elettorale e fare un segno su una scheda. Ma, in qualche modo, il 4 marzo del 2018 la scelta è stata un po’ semplificata. Infatti, pur nella sua farraginosità, una cosa era chiara con la legge elettorale del 3 novembre 2017, n. 165: il 4 marzo del 2018, si votava per dei simboli di partito, a cui erano agganciati uno o più aspiranti deputati e senatori.

Ora, per fare un esempio, i numerosissimi elettori che avevano scelto la Lega, erano sicuri che il loro Matteo MAI si sarebbe potuto unire con il Movimento 5 stelle. Un mese prima del voto, il 1° febbraio, in un’intervista al «Corriere della Sera», Salvini era stato categorico, come solo lui sa esserlo: MAI si sarebbe alleato al Movimento 5 stelle ed un eventuale governo di larghe intese con Di Maio avrebbe rappresentato un «tradimento» degli elettori.

Con altrettanta chiarezza ha sempre precisato la propria collocazione l’altro Matteo, Renzi. Ha sempre parlato del Pd come della sua “casa”. Nel famoso discorso pronunciato al Lingotto il 12 marzo del 2017, quando da poco si era consumata una scissione nel suo partito, ricordava alla platea che «senza il Pd non si va da nessuna parte».

Adesso apprendiamo che coloro i quali erano stati scelti per stare in Parlamento all’insegna del Partito democratico hanno deciso di fondare un loro nuovo partito: Italia Viva.

Ovviamente ognuno è libero di fondare il partito che preferisce, nel modo che preferisce e con il nome che preferisce. Tuttavia ho l’impressione che Matteo Renzi e la sua schiera di parlamentari abbiano tradito clamorosamente la fiducia di quegli elettori che li avevano scelti come espressione del Partito democratico. Non sarebbe stato più lineare e più limpido il loro “sofferto” percorso politico se, nell’uscire dalla formazione in cui non si riconoscevano più, fossero usciti anche dalla Camera e dal Senato? Imparino dall’ex senatore varesino Gianluigi Paragone, che, come aveva dichiarato in occasione della formazione dell’attuale governo, si è coraggiosamente dimesso ritornando a fare il proprio lavoro. (Perché Paragone si è dimesso, vero…?)

 

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Pubblicato il 24 Settembre 2019
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