74 anni dopo, torna a casa il soldato Migliavacca
Ritrovato dal figlio che non si è mai rassegnato: ora le spoglie del soldato Eugenio potranno tornare in patria. Sabato 26 ottobre i funerali ad Origgio

Sono passati 74 anni, da quel marzo 1945. E ora il soldato Eugenio Migliavacca potrà riposare in pace, nel paese da cui era partito per andare in guerra.
I funerali si terranno sabato 26 ottobre, alle 9, a Origgio, lì sarà sepolto.
Nato nel 1913, fu chiamato alle armi nel 43° Reggimento Fanteria, a differenza di molti della provincia di Varese (e anche della zona di Saronno) arruolati nel 37° Fanteria o nel 3° Bersaglieri. Catturato dopo l’8 settembre, finì in un lager in Germania, come Internato Militare: morì il 16 marzo 1945, sotto un bombardamento aereo, un mese e mezzo prima della resa dell’impero hitleriano.
«Era il mio papà» dice Giovanni Migliavacca, il figlio che l’ha cercato a lungo. «Da vent’anni stavo cercando sue notizie. Lui è morto in un paese, ma poi l’hanno traslato nel cimitero di Francoforte sul Meno, dove sono sepolti 5mila soldati italiani» (in totale 16mila tra Germania, Austria, Polonia). La ricerca è durata anni per colpa di un errore di trascrizione del nome. «Poi ho trovato un articolo,“i 130 dimenticati della Provincia di Varese”: c’era anche il nome di mio padre, alla fine siamo riusciti ad arrivare fino alla sua tomba» (tra i “dimenticati” ci sono anche cinque compaesani di Origgio).

Era il 2016 e per la prima volta, con emozione, Giovanni Migliavacca ha potuto “riabbracciare” suo padre a Francoforte sul Meno, nella Germania sud-occidentale. «Io sono nato nel 1940: me lo ricordo in divisa, il giorno in cui è tornato a casa in licenza, era stato in Grecia: io mi son nascosto sotto al tavolo perché non lo riconoscevo. E poi ricordo il giorno in cui è arrivata la lettera che spiegava che era morto».
I soldati italiani fatti prigionieri ricevettero un trattamento durissimo e umiliante: Hitler, infuriato per l’armistizio firmato dall’Italia e dagli Alleati, diede ordine di trattarli non come legittimi prigionieri ma come schiavi a disposizione della Germania. Un destino che toccò 700mila deportati in Germania. Circa il 10% accettò l’arruolamento nei reparti fascisti della RSI (anche se non pochi disertarono appena giunti in Italia), gli altri rimasero fedeli al giuramento e patirono venti mesi di violenze, privazioni e soprusi. Si stima che su seicentomila rimasti nei lager morirono tra 37mila e 50mila soldati, vittime dei tedeschi ma anche dei bombardamenti alleati sulle fabbriche dove erano costretti a lavorare.
Ora alcuni di loro stanno tornando a casa. «È arrivato un carro funebre tedesco – racconta ancora Giovanni Migliavacca – e c’era anche una troupe di una televisione tedesca che sta realizzando un documentario. Dovevano consegnare dieci cassettine, passavano da Belluno, La Spezia, poi giù al Sud».
Per riportare a casa i resti di Eugenio famiglia ha dovuto anche pagare il viaggio, perché lo Stato non se ne fa carico. «Sa qual è la cosa che mi fa rabbia? Lo Stato non ci ha mai avvisato del luogo della sua sepoltura, anche se lo sapevano: così non l’hanno mai saputo mia madre e i fratelli di mio padre. È stato così per lui e per tanti di quei 16mila sepolti in Germania».
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