“Mio padre, un uomo sano e forte, piegato dal coronavirus”

Veronica racconta la difficile malattia di suo padre Salvatore, un uomo di 53 anni "sano come un pesce", stremato dal covid19. È ancora ricoverato all'ospedale di Saronno, ma il peggio è alle spalle

Ospedale di Saronno

Salvatore aveva un solo pensiero : “Come garantire gli stipendi ai dipendenti dei due ristoranti che dirigeva”. Una necessità seria e concreta, emersa subito con i primi provvedimenti restrittivi che limitavano la vita sociale e imponevano distanze di sicurezza e divieti alla circolazione sin dal caso uno di Codogno.

« Era preoccupato per il futuro dei due esercizi – racconta la voglia Veronica – il virus non lo considerava un vero pericolo. Diceva : è una semplice influenza, cosa mai potrà succedermi?».

Quando la sera del 10 marzo Salvatore rientra a casa con i brividi di freddo, le sue figlie e sua moglie sanno, invece, che il Covid è arrivato nelle loro vite.
« Siamo una famiglia molto unita – spiega la figlia – viviamo in una villetta trifamiliare io, mia sorella e i miei genitori. Sempre insieme. Quella sera è tornato a casa con brividi, ci siamo subito preoccupati. Mio padre ha 53 anni, un uomo energico, sano e forte. Sempre attivo».

I sospetti delle due sorelle si fanno più concreti la mattina seguente: « Aveva la febbre a 39,5 e non scendeva. Gli antifebbrili portavano qualche sollievo ma era questione di qualche ora. Al telefono, il medico curante ha detto che probabilmente si trattava di coronavirus ma che lei non poteva venire a visitarlo. Ci ha consigliato di chiamare il numero verde di Ats. Per 24 ore abbiamo insistito a comporre quel numero ma senza successo. Quando, finalmente, abbiamo preso la linea ci hanno detto che dovevamo isolarci e isolarlo in casa. Abbiamo avuto la sensazione che l’unica preoccupazione fosse quella di non diffondere ulteriormente il contagio».

Iniziano così giorni difficili per Veronica e la sua famiglia: « Abbiamo spostato mio padre Salvatore in una zona separate e mia sorella, che è la più giovane, lo assisteva».
Con mascherina e guanti procurati dalla Protezione civile di Cislago, inizia così il lungo periodo di assistenza domiciliare: « Il medico ci telefonava quotidianamente. Ha prescritto anche un antibiotico ma le condizioni di mio padre continuavano a peggiorare. Grazie al saturimetro, portatoci dalla Protezione civile, abbiamo cominciato a monitorare l’ossigenazione del sangue».
Ed è grazie a quell’apparecchietto che l’allarme si fa più pressante: « Una mattina, il saturimetro indica livelli attorno a 85. Richiamiamo il 118. Erano stati a visitare mio padre qualche giorno prima, ma i parametri vitali erano buoni e non avevano reputato di portalo in ospedale. Quando, quella mattina sono arrivati, hanno capito subito la gravità delle condizioni e lo hanno trasportato all’ospedale di Saronno».

Qui Salvatore viene sottoposto a tampone ma, già durante l’attesa del risultato, gli viene applicato l’ossigeno con la mascherina. In reparto le condizioni continuano a peggiorare e gli viene applicato la Cpap. Ma non basta ancora e due giorni dopo viene trasferito in terapia intensiva e intubato: « I medici e gli infermieri sono speciali. Senza possibilità di andare in ospedale, rimangono solo loro a darci notizie. E tutti i giorni si ritagliano un’ora di tempo per informare le famiglie, spiegando nei dettagli cosa sta accadendo».

Veronica e i suoi famigliari vivono così sospesi, in attesa della chiamata: « Dopo tre giorni, mio padre viene estubato e rimesso nella Cpap. Con quella notizia chiediamo alla dottoressa se è possibile fargli avere il suo cellulare e sentire la sua voce. Una richiesta davvero complicata per il personale che lavora in terapia intensiva, in ambiente sterile e protetto da vestiti e dispositivi di alta protezione. Il borsone di mio padre era rimasto in camera, lontano da quel reparto. Capiamo che la nostra richiesta sia eccessiva. Dopo mezz’ora dalla nostra richiesta, invece, sentiamo il nostro telefono: era mio padre. Il personale ci aveva fatto questo grande regalo e gli avevano portato il suo cellulare. Abbiamo sentito la sua voce: solo tre minuti, ma sufficienti a riportarci nella nostra vita. La sua grande preoccupazione era la nostra salute, se fossimo rimasti contagiati». Un messaggio che ha permesso di ritrovare la vicinanza con un uomo così importante, trasportato via all’improvviso, a sirene spiegate, senza nemmeno un gesto di saluto.

Salvatore rimane ancora ricoverato nel reparto di terapia intensiva di Saronno. Veronica e la sua famiglia restano in isolamento nella loro casa di Cislago . La madre ha combattuto e superato una pensante influenza vivendo in isolamento: « Rispettiamo rigorosamente le distanze sociali. Io sono a casa da oltre un mese e lavoro in smart working. Mia madre è rinchiusa nel locale e mia sorella viva nell’altro appartamento. Ci vediamo da lontano, in giardino per darci coraggio».

La strade per Salvatore è ancora lunga ma il peggio è alle spalle: « Una volta di più vorrei che la gente sapesse che questo virus non è da prendere sottogamba. Mio padre ha avuto un atteggiamento superficiale e la sta pagando. Per noi la paura non è finita. E non so quando potrà davvero concludersi questo momento difficile».

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Pubblicato il 29 Marzo 2020
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