“La cultura ci ricorda qual è la nostra storia comune, Varese deve ripartire da ciò che ha”
Intervista al nuovo assessore alla cultura del comune di Varese, Enzo Laforgia, da poco insediato a tempo pieno nell'assessorato
Storico, notissimo docente di storia e filosofia al classico, scrittore: Enzo Laforgia era uno dei nomi più citati ogniqualvolta si parlava di dare la gestione della cultura a un varesino. Ora quell’assessorato è stato proprio affidato a lui, e molte sono le attese per il suo assessorato.
Abbiamo cosi deciso di chiedergli come sta affrontando la nuova impresa.
Come ha vissuto la nomina?
«È stata una cosa emozionante, ma accolta con un po’ di tremore. È un’esperienza nuova, che non era nelle mie previsioni e che per affrontare al meglio ho deciso di affrontare a tempo pieno, mettendomi in aspettativa come insegnante. Poi sento tutta l’attesa che c’è intorno a questo ruolo: anche perché negli ultimi 10 anni il ruolo dell’assessore alla cultura al comune di Varese è mancato spesso».
Come si sta muovendo in questi primi giorni da assessore?
«Per il momento, sto incontrando tutti quelli che me lo chiedono, tutti i giorni: ritengo importante questo contatto iniziale, specie dopo parecchio tempo in cui un assessore alla cultura mancava. Poi terrò per questi incontri solo alcune giornate della settimana, perché dovrò cominciare a visitare i luoghi che afferiscono al mio assessorato: in questo caso comincerò tra un paio di settimane».
Da cosa è necessario ripartire?
«Secondo me è necessario partire da quello che abbiamo. Credo che una delle primissime cose che vadano fatte sia la valorizzazione del patrimonio esistente: non solo dal punto di vista dei beni che il comune conserva e amministra ma anche da quello del patrimonio costituito da una realtà culturale molto ricca, con soggetti che stanno sul territorio da molto tempo e fanno cose importanti».
Qual è il suo programma per l’assessorato?
«Non ho ancora un programma messo a fuoco, definitivo. Penso però che su due cose si debba puntare, come dicevo prima: il patrimonio e i destinatari cittadini. Di sicuro ho una idea chiara in testa: il fatto che coloro che già operano, e operano bene, per l’assessorato debbano poter continuare a farlo, in autonomia. L’assessore alla cultura non ha una vocazione stalinista, non deve certificare la bontà di ogni azione: serve solo che verifichi che le cose fatte siano coerenti con il programma e la Costituzione, con la consapevolezza che si stanno amministrando beni e denari dei cittadini. Noi siamo amministratori temporanei di un bene di tutti. Per questo mi sembra importante valorizzare coloro che lavorano in questo settore: all’ufficio cultura sono loro che hanno fatto muovere bene la macchina, finora».
A che serve la cultura?
«Secondo la definizione Unesco la cultura è un insieme di beni materiali e immateriali che identifica un gruppo di persone in un territorio: l’azione culturale dovrebbe quindi servire a rendere consapevoli le persone che vivono in determinato territorio su qual è la loro storia comune. Per questo non vedo la necessità di lanciare grandi eventi che spesso nascono e muoiono senza lasciare nessun segno: mi appassiona più rendere i cittadini consapevoli di quello che hanno e del motivo per cui vivono insieme in un posto. Questo presuppone però un’attenzione a un segmento di popolazione che spesso non è considerata: i bambini, gli adolescenti e i giovani. Sono destinatari come gli altri della cultura, ma si rischia sempre di dimenticarsene: c’è per esempio un diffuso bisogno da parte della fascia dei giovani di spazi di aggregazione e di occasioni di svago anche dopo il tramonto, per esempio. E’ una necessità importante, a cui anche la proposta culturale si deve adeguare: le iniziative culturali non possono fermarsi all’orario d’ufficio, sennò finisce che vince sempre e solo lo spritz».
Qual è la sua strategia per i musei cittadini?
«I musei cittadini rientrano a pieno titolo in quella “ricchezza da valorizzare” di cui parlavo. Sono affidati a persone molto competenti e perciò si tratta solo di coordinare le azioni: non tanto fare qualcosa di nuovo, quanto far dialogare esperienze molto diverse. In città abbiamo realtà molto diverse tra loro: da quelli con vocazione archeologica come villa Mirabello al Castello di Masnago che ormai è grande luogo espositivo con vocazione ottocento-novecentesca. Per non dimenticare il museo Castiglioni, che è una realtà che riesce ad attrarre molti visitatori. Coordinare e far dialogare queste belle realtà è la cosa piu importante, per mettere bene in mostra la ricchezza che abbiamo. Un discorso che vale anche per la biblioteca, che in questi anni ha cambiato moltissimo il suo profilo: non è piu un posto dove si prendono solo libri in prestito o si va a studiare, ma è diventato centro produttore di iniziative culturali».
E l’archivio storico del comune?
«L’archivio storico del Comune per me è un discorso a parte, che merita particolare attenzione. Il palazzo di via XXV Aprile che conserva gli atti del comune di Varese è la memoria ufficiale della città. Quell’archivio è stato diretto a lungo da Piero Mondini, ora in pensione: appassionato archivista, ha conservato un patrimonio molto importante, per il valore storico che ha e per il punto di riferimento che ricopre per deve ricostruire delle situazioni. Lo spazio però è decisamente inadeguato per la funzione che dovrebbe svolgere, senza contare che si dovrebbe cominciare a cercare di mettere in mostra questo così prezioso patrimonio. Finché c’era Mondini, io ogni anno portavo in quei posti una delle mie classi: era affascinante far vedere ai ragazzi come si mantiene un archivio e quali ricchezze si possono trovare. Ora però si sente la mancanza di un archivista e di spazi piu adeguati, perchè le memorie si ritrovano solo se sono state ben conservate e quello è un bene prezioso, su cui si potrebbe lavorare moltissimo».
Cosa ne pensa di Nature Urbane?
«È senza dubbio un tema che l’amministrazione ha fortemente voluto. Ma come tutti sanno, va ripensato: e quello che manca penso che sia il fatto che non è stato mai definito bene cosa si voglia fare di questo festival, a cosa serve e su cosa focalizzare l’iniziativa. Investire tante energie o risorse su un evento di questo tipo deve portare della trasformazione nella città, sennò vuol dire creare un contenitore come un altro».
Ha già parlato con il direttore del teatro di Varese (Candidato per il centrodestra alle elezioni, ndr)?
«Sì, ed è stato un incontro cordiale. Si è presentato in assessorato insieme al suo socio e entrambi ci hanno illustrato cosa hanno intenzione di fare nella loro nuova gestione».
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