Marco Castiglioni: “Mio padre Angelo, un supereroe vero”
Parla il figlio del grande esploratore scomparso giovedì, direttore del Museo dedicato alle esplorazioni di Angelo e Alfredo (nella foto) ospitato nella dépendance di villa Toeplitz, scrigno di testimonianze di mondi lontani
«Il papà per ogni figlio è sempre un superereoe. Ma io avevo un padre piu supereroe degli altri, faceva cose che gli altri non facevano». E’ ancora scosso, ma ci tiene a parlare di suo padre Marco Castiglioni, figlio di Angelo, scomparso a 85 anni nella notte tra mercoledì e giovedì.
Toccherà a lui tramandare le straordinarie scoperte di suo padre e di suo zio Alfredo, venuto a mancare nel 2016, da direttore del Museo Castiglioni, che ora ha sede all’interno di villa Toeplitz a Varese. Ma in queste ore a parlare è il figlio che ha perso «Oltre che un supereroe anche il riferimento, la stabilità, il consigliere: questo era per me, anche ora. Prima di decidere passavo sempre da lui anche negli ultimi tempi: era in ospedale e mi chiedeva informazioni sul museo sui nuovi eventi, diceva la sua… Sarà una grande mancanza, ma mi ha dato il miglior esempio possibile».
Il cuore l’ha abbandonato, dopo una vita intensa: «A questo proposito devo ringraziare l’ospedale di Varese, hanno fatto davvero tutto il possibile ed è stato bello scoprire di avere “in casa” un’eccellenza, anche se l’esito non è stato positivo». Ma anche se il dolore è forte, non ci sono rimpianti: «Mio padre di vite ne ha vissute tre: ha visto piu cose lui che dieci persone messe insieme».
I fratelli Castiglioni non sono stati varesini da sempre: Varese è città da loro molto amata, ma non è quella di nascita: «Mio papà Angelo e suo fratello Alfredo (Sono gemelli, ndr) sono nati a Milano nel 1937, e in giovanissima età sono stati sfollati a Cadegliano, per evitare i bombardamenti – spiega Marco – Da allora si sono sempre più affezionati a queste zone, e quella abitazione, che abbiamo ancora, è diventata la nostra casa delle vacanze. Quando si è sposato si è trasferito definitivamente a Varese, e da li non si è più mosso. Più di una volta ha detto: “manco morto ci ritorno a Milano”. Io sono nato a Varese e mi sento profondamente varesino: quando ho abitato a Milano per qualche anno per lavoro, aprire le finestre mi dava l’angoscia».
Papà Angelo (nella foto, a sinistra) però non era certo un papà di quelli ordinari: «Certo, spariva per mesi, senza le possibilità di comunicare di oggi. Così quando lui partiva non avevamo idea, se non del tutto vaga, di dove sarebbe stato. Cosi’ quando mi chiedevano “dov’è tuo padre?” Io rispondevo magari “E’ in Gabon” come mi aveva detto. Ma se mi chiedevano altri particolari come “dove esattamente?” oppure “Come sta?” la risposta era sempre “Boh”. Non sapevamo mai ne dov’era, ne dove andava, e in realtà nemmeno quando e come riusciva a tornare a casa finchè non lo vedevamo di nuovo. Nelle loro esplorazioni hanno vissuto sparatorie, epidemie, agguati, di tutto. Io però non ho mai sentito la mancanza di mio padre: innanzitutto perchè mia mamma evidentemente ha fatto un buon lavoro con me, e poi perchè quei mesi di assenza erano compensati da altrettanti mesi di racconti avventurosi, di storie incredibili».
Marco ha condiviso anche dei viaggi con lui: «Uno dei primi viaggi che ho fatto da piccolino è stato nell’Egitto faraonico, che poi ho rivisto diverse volte nelle occasioni in cui accompagnavo mio padre e mio zio ai bordi del deserto: loro poi proseguivano con altri mezzi e io tornavo. Va da sè che non si trattava di viaggi turistici, e nemmeno “normali” trasferimenti: in quei viaggi attraversavo luoghi poco battuti, facevo attraversate del Nilo in zone sconosciute… Erano un’avventura, anche se per loro era solo l’inizio della loro esplorazione. Poi c’è il capitolo della casa in Kenya: avevano comprato casa lì, e per diverse estati è stata la mia destinazione di vacanza. Lì avevo una Fiat Campagnola con cui portavo gli amici: grandi avventure per noi, che non avevano però niente a che vedere con quello che facevano loro».
Una attività dettata totalmente dalla passione: «Mio papà e mio zio erano laureati in economia e commercio, non erano archeologi: ma la passione era tanta che i titoli sono stati conferiti loro sul campo. Hanno dedicato gran parte della loro vita alle antiche civiltà, aprendo nuova frontiera in questi studi: prima di loro il deserto della Nubia era uno spazio vuoto. La scoperta di Berenice Pancrisia è considerata universalmente una delle più importanti nella storia dell’archeologia».
E lo hanno fatto in un modo totalmente nuovo: «Loro mi hanno insegnato che per documentare realtà e vita vera devi entrare a far parte della vita delle persone, se non fai cosi resta solo folclore – spiega – Avevano una capacità speciale: quella di entrare in contatto con le persone, fare parte della loro vita e documentarla. E lo fecero con le videoregistrazioni e le fotografie, una importante intuizione. Fino ad allora le descrizioni erano infatti affidate alla penna e ai disegni dell’esploratore, che potevano essere fatte da ricordi falsati. Quello di usare i video è stato il modo per documentare scientificamente gli usi e costumi di alcune civiltà prima che scomparissero. L’archivio fotografico e cinematografico che abbiamo, da questo punto di vista, è un unicum a livello mondiale».
Per questo nasce il museo Castiglioni a villa Toeplitz: «Il museo è una idea che arriva da lontano. I reperti che loro portavano a casa dai vari viaggi venivano sempre più richiesti, in diversi musei nel mondo. All’inizio li hanno concessi, poi si sono accorti che dandoli via pezzo per pezzo si sarebbe disperso tutto il capitale recuperato. Hanno quindi pensato di creare il museo, il cui primo nucleo è stato realizzato con 4000 dei loro reperti. Era il 1999. Il problema iniziale però è che era un museo non facilmente fruibile: non ci poteva andare chiunque ed era aperto solo in occasioni particolari. Per il salto di qualità dobbiamo passare al tempo in cui Simone Longhini è stato assessore alla cultura, che devo ringraziare. Io mi sono offerto come curatore, lasciando la mia professione di giornalista, e così abbiamo cominciato ad aprirlo con regolarità, grazie anche all’aiuto di tanti volontari».
È un museo che: «Ci ha già dato tantissima soddisfazione, i commenti di chi è venuto a vederlo sono sempre lusinghieri. Ora però la motivazione a fare di più è ancora più grande. Quando ho accettato di diventarne direttore avevo deciso di portare avanti la loro eredità, e ora questo piccolo museo devo farlo crescere in nome di papà e dello zio, e farlo diventare riferimento per la città, facendone anche un centro di ricerca. Vorrei e potrei fare molto di piu, e ora conto di riuscirci: con l’attuale amministrazione c’è grande apertura, e un assessore di grande valore con cui si possono finalmente fare progetti».
I funerali di Angelo Castiglioni si terranno sabato 19 febbraio alle 15.30 nella basilica di San Vittore a Varese.
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Volevo fare una proposta al comune di Varese. Signor sindaco potrebbe proporre di dedicare una via di Varese hai fratelli Castiglioni? lo meriterebbero davvero.