La Turchia al voto spaccata a metà riguarda anche noi

A poche ore dal voto in Turchia l'analisi di Helin Yildiz nata e cresciuta in Italia da genitori curdi della Turchia, consigliera comunale del Partito democratico a Varese e coordinatrice della mozione Schlein

Generico 22 May 2023

A poche ore dal voto che stabilirà il destino della Turchia, proprio nel 100° anniversario della fondazione della sua Repubblica, ci troviamo di fronte a un paese e una società letteralmente spaccati a metà.

Il primo turno delle elezioni turche del 14 maggio era finito con i due candidati più votati entrambi sotto la soglia del 50% (secondo i dati ufficiali, 49,5% per il presidente uscente Erdoğan e circa 45% per il candidato dell’opposizione Kılıçdaroğlu), decretando così il ballottaggio per domenica 28 maggio.

Diversi sono gli aspetti che meritano una riflessione in queste elezioni, che ci riguardano più di quel che pensiamo per via delle implicazioni geopolitiche e internazionali, e per cui sono state definite da diversi quotidiani internazionali – a partire dal Washington Post – come le elezioni più importanti dell’anno.

Per la prima volta nella storia della Turchia vi è un fronte di opposizione così ampio e differenziato al suo interno. Il progressivo allontanamento di Erdoğan e del suo entourage dallo Stato di diritto, e la crescente affermazione di un sistema basato sulla persona sola al comando, a lungo andare ha creato malessere in tutti i segmenti della società, tanto da far mettere insieme forze politiche molto diverse tra di loro, pur di respirare una boccata d’aria fresca dopo oltre venti anni di governo Erdoğan. L’alleanza del candidato dell’opposizione Kılıçdaroğlu è composta da sei partiti: dai repubblicani laici agli islamici moderati, fino ai nazionalisti “delle grandi città” (da distinguere da quelli dell’Anatolia interna, che sono tendenzialmente filo-governativi). I curdi, che rappresentano circa il 20% della popolazione, non fanno ufficialmente parte di questa alleanza, ma hanno deciso di sostenere Kılıçdaroğlu “da fuori”.

Un dato alquanto anomalo è stato l’oltre 1 milione e 300 mila voti ritenuti nulli al primo turno: immaginate come se i voti di tutta la popolazione del comune di Milano fossero annullati. A Erdoğan mancavano meno di 300 mila voti per raggiungere il 50% + 1 per vincere al primo turno: in condizioni normali, il suo partito avrebbe potuto chiedere un riconteggio, come fece nel 2019 per le tanto contestate elezioni amministrative di Istanbul, che sancivano la vittoria dell’opposizione; in quel caso però l’annullamento dell’elezione e il riconteggio diede effetto opposto a quello sperato, riconfermando una vittoria ancora più marcata per l’opposizione e per l’attuale sindaco Imamoğlu.

Secondo diversi analisti, il motivo per cui questa volta non si sia chiesto il riconteggio, come ormai da prassi, sarebbe proprio il fatto che il 49,5% di Erdoğan sia già un dato manipolato. Di fatti, sono stati proprio i principali partiti di opposizione, in primis il Partito Repubblicano CHP (centro-sinistra) e il Partito di Sinistra Verde YSP (erede del Partito Democratico dei Popoli, filo-curdo), a contestare gli esiti del voto del 14 maggio, presentando migliaia di ricorsi dopo aver riscontrato diverse irregolarità, soprattutto nella regione curda del sud-est, o la mancata corrispondenza tra i dati dei verbali risultanti dai seggi e i dati ufficiali registrati nell’archivio elettorale online.
D’altro canto, il candidato presidente Ogan (ultranazionalista di destra), che è arrivato terzo con circa il 5% dei voti, avrebbe fatto da ago della bilancia per il ballottaggio; tuttavia, anche un po’ inaspettatamente, ha deciso di sostenere Erdoğan, anche se la sua base e il fronte interno paiono essere molto spaccati. Ogan in campagna elettorale aveva portato avanti una propaganda contro l’attuale governo – motivo per cui, secondo diverse indiscrezioni, pare che dietro la sua scelta di sostenere Erdoğan al ballottaggio vi siano motivazioni ben più profonde, al punto tale da coinvolgere l’attuale presidente dell’Azerbaigian.

Questioni molto cupe dai confini non ben delineati, ma che bastano per far capire quanto la corruzione, e non solo, stia dilagando in un paese ormai lacerato dalla crisi economica, che ha toccato picchi fino all’85% di inflazione. La lira turca si è notevolmente deprezzata di giorno in giorno, toccando il record freschissimo di un tasso di cambio dollaro-lira turca equivalente a 1:20.
Merita una riflessione anche il dato dell’affluenza, quasi del 90%: là dove le democrazie sono instabili, i cittadini non hanno altri mezzi da usare se non il loro voto. L’opposto di quello che succede in diversi contesti europei, dove dall’alto della nostra “comfort zone democratica” abbiamo la presunzione di considerare il diritto/dovere di voto solo come un optional.

Altrettanto interessante rimane il dato sul voto dei cittadini turchi residenti all’estero: circa il 70% dei turchi in Germania hanno votato Erdoğan, in tendenza col trend degli anni passati. Il perchè queste persone in Europa votino i partiti di centro-sinistra, i socialdemocratici e i verdi (forze che difendono i diritti degli immigrati), e al contempo in Turchia votino per il conservatorismo rigido, è un dato che merita un’analisi approfondita a parte.

In generale, la campagna elettorale di queste elezioni è stata molto dura, tanto da non risparmiare interferenze di paesi stranieri come la Russia, che con video montaggi e deepfake a scapito dell’opposizione ha contribuito ad aumentare il caos interno più di quanto già ce ne fosse. Senza contare la spropositata asimmetria di potere tra le due parti, poichè Erdoğan detiene il pieno controllo della televisione e di tutti i media statali (che per l’intera durata della campagna hanno dedicato in totale 32 minuti di visibilità all’opposizione).

Il desiderio di cambiamento all’interno della società turca è innegabile. La Turchia sarebbe un paese candidato all’adesione all’Unione Europea, prospettiva che si è sempre più offuscata negli ultimi anni, con il graduale allontanamento – consapevole – dai principi di democrazia e dalla volontà di attuare le riforme necessarie, e voltando la propria faccia sempre più verso il Medio Oriente. Queste elezioni si sono trasformate a tutti gli effetti in un referendum in cui la Turchia sceglierà la propria direzione: più chiusura, conservatorismo e autocrazia, o più diritti umani, giustizia e democrazia?

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Pubblicato il 27 Maggio 2023
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