Droga e torture: dopo l’omicidio del pusher abbandonato a Lonate Pozzolo 26 arresti della Squadra Mobile di Varese
Operazione su vasta scala della squadra mobile di Varese che colpisce un'organizzazione legata allo spaccio di droga in diverse province del Nord
Un lungo elenco di reati partito con la morte dopo indicibili torture di un 24enne, colpevole di essersi tenuto droga per 30 mila euro da spacciare in una sua piazza: voleva mettersi in proprio e la banda di cui faceva parte, comandata da due fratelli, gliel’ha fatta pagare col codice della violenza, unica pena plausibile per lo sgarro subito.
È dal ritrovamento del cadavere a bordo strada avvenuto su segnalazione di alcuni automobilisti il 7 maggio 2022 che partono le indagini che hanno portato all’arresto di 26 persone, quasi tutte in carcere, per un’operazione coordinata dalla Procura della Repubblica di Busto Arsizio e messa a segno dagli uomini della Squadra Mobile di Varese.
I reati contestati sono quelli di tortura con uccisione del torturato, tentata estorsione, rapina, detenzione di armi e reati in materia di stupefacenti, in particolare spaccio nelle zone boschive in numerosi punti dislocati nelle province lombarde e piemontesi.
LO SGARRO
La vittima, di origini marocchine, faceva parte di una banda con profonde ramificazioni sul territorio e aveva tenuto per sè un discreto quantitativo di stupefacente per mettersi in proprio e cominciare a spacciare nella zona di Laveno Mombello.
Il gruppo era riuscito nei giorni seguenti ad avere certezza dell’affronto subito da parte del ragazzo, ed il capo lo aveva convocato dicendo che doveva parlargli. La disponibilità, suo malgrado, del ragazzo nei confronti dell’ex “capo” gli è stata fatale: da un Comune della provincia di Milano il ragazzo è stato condotto dal “superiore” e da uno dei complici nel bosco in cui aveva rubato la droga e i soldi al gruppo. Ad attenderli c’erano altri componenti della gang, che si sono scagliati contro il giovane, lo hanno percosso e seviziato con vari strumenti, sino al decesso, avvenuto dopo alcune ore di acute sofferenze e al termine di violenze crudeli e prolungate.
Il suo corpo è stato poi trasportato dal bosco in cui era stato ucciso sino alla piazzola di sosta in cui è stato trovato la mattina successiva, a seguito di segnalazione da parte di alcuni passanti. Poco dopo aver iniziato le torture nei confronti del ragazzo, una donna – identificata poi nella compagna del capo del gruppo – aveva chiamato ripetutamente il padre di quest’ultimo, riferendo quello che stava accadendo e chiedendo il pagamento della cifra che il ragazzo aveva rubato. L’uomo, che viveva in Spagna, aveva chiesto di liberare il figlio rendendosi disponibile a recuperare la cifra necessaria, chiedendo però di avere tempo a disposizione, ma il ragazzo è morto prima che il genitore potesse recuperare la somma necessaria.
La notte successiva al ritrovamento del cadavere il capo del gruppo è fuggito in Spagna, grazie al determinante ausilio offerto dalla sua compagna. A dirigere gli affari ha lasciato in Italia il fratello e alcuni fidati uomini che hanno proseguito nel fiorente traffico di droga venduta nei boschi lombardi e della provincia di Novara, sempre, comunque, sotto le costanti direttive del capo.
IL SISTEMA
Come si diceva, le indagini hanno permesso di capire nel dettaglio i sistemi utilizzati dagli spacciatori. L’indagine ha mostrato l’organizzazione e le modalità del traffico di stupefacenti effettuato ad opera di gruppi composti quasi esclusivamente da cittadini marocchini che hanno eletto a piazze di spaccio le aree boschive. Dentro al bosco ci sono normalmente due persone; una – che ha la capacità di parlare e comprendere sufficientemente la lingua italiana – addetta alla ricezione delle chiamate da parte dei clienti che fanno l’ordine annunciando il proprio arrivo, l’altra addetta alla consegna della droga al cliente. Chi riceve le chiamate normalmente è il “capo posto”, e gestisce la droga, preparando le dosi, e i soldi; droga e soldi che, nei momenti di “riposo”, lo stesso “capo posto” nasconde all’interno del bosco stesso, cercando di non farsi vedere dall’altra persona con cui lavora in quel punto, per non rischiare che questo possa appropriarsi di tali “risorse”, fuggendo.
L’addetto alla consegna al cliente, invece, normalmente è un marocchino giovane da poco giunto in Italia. Quasi tutti sono irregolari sul territorio nazionale. Si è accertato che il gruppo indagato disponeva di appartamenti affittati da prestanome, e di vetture intestate a prestanome o noleggiate per pochi giorni (con documenti ottenuti da terzi, dietro pagamento di somme di denaro) attraverso società che forniscono il servizio a distanza tramite portale internet. Nella disponibilità del gruppo criminale, poi, vi sono anche armi, sia bianche (ad esempio machete), sia da fuoco (fucili e pistole), anch’esse occultate nei boschi di spaccio, ostentate sui profili Facebook e utilizzate per rappresaglie e in caso di contrasti con gruppi rivali (ad esempio a seguito della sottrazione dei telefoni dello spaccio oppure per la conquista di un luogo di spaccio conteso). Almeno due le sparatorie per il controllo del territorio.
LE MISURE
26 misure cautelari di cui 24 in carcere, 1 agli arresti domiciliari e 1 divieto di dimora in Lombardia e Piemonte, emesse dai Gip di Busto Arsizio Novara e Lodi che hanno accolto le richieste delle rispettive Procure della Repubblica, nei confronti di un gruppo di persone, originarie del Marocco (eccetto un solo cittadino italiano con mansioni di autista). Le diverse misure cautelari sono state eseguite con la collaborazione delle Squadre Mobili di Milano, Novara, Genova, Cremona, Lodi, Piacenza, Pavia nonché con l’ausilio di equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine di Milano. Gli arresti sono stati eseguiti in Lombardia nelle province di Milano, Lodi, Pavia e Cremona, ed anche nelle province di Novara e Piacenza. Parte dei soggetti destinatari – irregolari in Italia e senza fissa dimora – è risultata irreperibile. Un arresto è stato eseguito in Germania dalle autorità di polizia di quel Paese, attivate dall’Unità FAST italiana (incardinata nel Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia) a seguito della emissione del Mandato d’Arresto Europeo da parte del Gip.
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