“Jannik genuino ed educato. Ma con una determinazione pazzesca”
Roberto Marcora affrontò Sinner nella finale di Bergamo del 2019, primo "challenger vinto dal fenomeno azzurro. "Non patì la pressione, era già super. Può diventare il numero 1 al mondo"
Febbraio 2019, Bergamo: sulla superficie veloce allestita al palasport va in scena la finale di uno dei tornei di tennis più importanti d’Italia, il Challenger che l’anno precedente venne vinto da Matteo Berrettini.
Di fronte ci sono un bravo giocatore bustocco, Roberto Marcora, già vicino alla 200a posizione mondiale, e un ragazzino con i capelli rossi che si è già fatto notare nel circuito minore (i cosiddetti Futures) ma che non ha ancora vinto tornei di quel livello. È altoatesino, alto e magro ma il suo nome non è nuovo né per Marcora né per gli addetti ai lavori: si chiama Jannik Sinner, ha 17 anni e si appresta a scrivere la prima pagina della sua storia tra i “grandi” vincendo il suo primo Challenger (foto in alto: la premiazione a Bergamo)
Marcora, a lungo il miglior tennista della nostra provincia, si è da poco ritirato dal circuito pro, lavora nell’azienda di famiglia e si è appena laureato campione italiano (in doppio) di pickleball, uno sport simile al tennis che sta spopolando negli USA. Ma ha ben presente quella partita e quel ragazzino di cui è rimasto amico, che oggi è sulla bocca di tutta Italia grazie alla leggendaria vittoria della Coppa Davis.
Roberto, qual è il suo primo ricordo di Sinner?
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«Ho conosciuto Jannik quando aveva 14 anni e d’estate si allenava con Riccardo Piatti all’Isola d’Elba. Io andai là con il mio coach, Uros Vico, per preparare la stagione sul cemento americano e incontrai per la prima volta questo ragazzino di cui si diceva un gran bene. La prima impressione fu di avere di fronte un talento già programmato per arrivare in alto: era conscio di essere parte di un “processo” che lo stava proiettando ai vertici».
Quella finale a Bergamo diede a Sinner il primo successo. Come andò la partita?
«Io arrivai in finale con la speranza di vincere perché avevo conquistato diversi Futures ma mai un Challenger. Ero anche stremato perché la semifinale fu lunga e faticosa, però speravo che Jannik, al primo match di quella importanza, a 17 anni, potesse sentire un po’ la pressione. Invece niente: fin dai primi games dimostrò di avere una caratura superiore a tutti. Finì 6-3 6-1 per Sinner che giocò un gran tennis».
Pochi mesi dopo vi incontraste di nuovo a Ortisei e vinse ancora Sinner (6-3 6-4). In quel lasso di tempo era cresciuto ulteriormente?
«Anzitutto aveva guadagnato un mucchio di posizioni nel ranking: a Bergamo era intorno al 550, a Ortisei era già tra i primi 100 al mondo. Il gioco tutto sommato fu simile e ovviamente di grande livello, però era ulteriormente cresciuto dal punto di vista della consapevolezza nei propri mezzi».
Sinner si comporta in modo impeccabile in campo e fuori. Lei lo conosce bene: è proprio come si vede in tv?
«Lo seguo molto al di là del tifo, perché il suo allenatore Simone Vagnozzi e il suo preparatore Umberto Ferrara in passato hanno lavorato con me. Jannik è un ragazzo genuino, molto posato, educato da una famiglia per bene. Non è la persona che si fa travolgere dal successo, e di successo ne ha già ottenuto tanto. Però ha una determinazione incredibile e si comporta come se per lui tutto questo cammino fosse una cosa normale. Devo dire anche che i suoi allenatori, Riccardo Piatti prima, Vagnozzi e Cahill oggi, sono stati davvero bravi a seguirlo e indirizzarlo».
Dove potrà arrivare questo ragazzo?
«Io credo che possa competere per diventare il numero uno al mondo e per vincere qualche slam. Vorrei dire che è già il miglior tennista italiano di sempre, però Panatta ha vinto Parigi e Roma oltre alla Coppa Davis: diciamo che Jannik è pronto a raggiungerlo. Invece non farei paragoni con Pietrangeli che giocava in un’epoca talmente diversa che non può essere confrontata con quella attuale. Sinner ha 22 anni, può lasciare un segno molto profondo».
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