Alpinista, esploratore, partigiano: chi era Leopoldo Gasparotto
Di famiglia legata anche a Varese, fu assassinato dalle Ss il 22 giugno 1944, ottant'anni fa, in campo di concentramento. A lui è dedicata una delle principali di accesso alla "città giardino"
Un’esistenza audace, cercando in ogni occasione una sua via autonoma, che si trattasse di una ascesa alpinistica, dell’accesso a un fiordo di Groenlandia o di un modo di combattere il fascismo: è la vita quasi da film di Leopoldo Gasparotto, figura legata – per famiglia – anche a Varese, dove una via importante di accesso alla città porta il suo nome.
Nato a Milano il 30 dicembre 1902, Leopoldo aveva per padre Luigi Gasparotto, uomo politico, democratico, laico e radicale, di quella generazione che aveva un riferimento nel mito di Garibaldi. Avvocato in Milano dagli ultimi anni dell’Ottocento, Luigi Gasparotto aveva una villa e tenuta agricola a Ligurno di Cantello, frequentata per la “villeggiatura” da Milano ma anche luogo d’investimento, con la creazione tra l’altro di un roccolo per la cattura degli uccelli (cui è collegata anche una tradizione locale, ma è un’altra storia).
Di famiglia borghese, Gasparotto ebbe modo di praticare gli sport: divenne sciatore e alpinista, arrivando ad essere parte di spedizioni celebri. Dal 1923 aprì nuove vie di arrampicata, partendo dalle Grigne e dalle Dolomiti, partecipò all “corsa” alle Grandes Jorasses. Nel 1929 esplorò il Caucaso, lasciando un grande reportage anche fotografico, nel 1934 arrivò fino in Groenlandia, nella penisola ribattezzata “Savoia”. Fu anche Accademico del Cai e da alpini fu alla celebre scuola militare di alpinismo: insomma faceva parte della aristocrazia dell’alpinismo, allora ancora disciplina elitaria.
Ma la famiglia Gasparotto, per quanto benestante, era anche sinceramente democratica e per questo si oppose al fascismo, prima in modo passivo (“Poldo” ad esempio rifiutò l’iscrizione ai Gruppi Universitari e Fascisti) ma poi via via in modo sempre più diretto, fin dagli anni Trenta, accostandosi a quelli di “Giustizia e Libertà”, i liberalsocialisti che operavano anche dal vicino Canton Ticino (da cui partì ad esempio un audace volo per lanciare volantini antifascisti su Milano).
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La lotta di Liberazione contro i nazifascisti
Quando i tedeschi invasero l’Italia e Mussolini si mise a loro disposizione, i Gasparotto – patrioti e insieme convinti antifascisti – si attivarono subito: Luigi e “Poldo” – che era ufficiale degli Alpini – cercarono di organizzare la difesa di Milano già prima dell’8 settembre, mettendo insieme soldati e operai delle fabbriche (i tentativi andarono a vuoto, il comandante la piazza, il generale Vittorio Ruggero, consegnò la città ai tedeschi).
Dopo aver convinto il padre, con la moglie e il figlio, a trasferirsi in Svizzera, “Poldo” salì sui monti lombardi, organizzò le prime formazioni partigiane, in particolare nella zona tra Lecchese e Valtellina, ma insieme all’amico Arturo Martinelli “fece base” a volte anche a Ligurno.
La sua attività lo portava anche a Milano, per tenere i contatti con Ferruccio Parri, futuro primo presidente del consiglio dell’Italia libera.
Nel corso di una di queste missioni fu arrestato in città l’11 dicembre 1943: fu torturato a San Vittore e al comando delle SS a Verona, poi inviato al campo di concentramento di Fossoli, in Emilia.
La morte a Fossoli
Anche dentro al campo riuscì a tenere contatti con l’esterno tramite bigliettini consegnati a emissari – rimasti anonimi – che con molto rischio si accostavano alle reti del campo.
Era un prigioniero celebre, un capo: forse per i contatti con l’esterno fu fucilato senza processo dalle Ss nella campagna intorno al campo di Fossoli all’alba del 22 giugno.
“Per la sua fede aveva accettato senza esitazione il rischio, aveva offerto senza esitazione la vita. Egli aveva costretto i manigoldi di Hitler e i venduti di Mussolini a scendere a patti con lui. Egli avrebbe lottato sempre, in città, in montagna, in carcere, a Milano, a Fossoli, ovunque. Pose lui stesso ai suoi nemici il dilemma: o subire la sua lotta o ucciderlo”, lo ricordava Enea Fergnani, antifascista compagno di prigionia.
Alla sua memoria fu subito dedicata la brigata “Gasparotto”, i partigiani “azzurri” attivi nella zona di Inveruno e Cuggiono.
Il suo nome è ricordato oggi da vie a Gallarate, Malnate, a Milano vicino alla stazione Centrale. E poi in una delle vie di accesso principali a Varese.
Ma soprattutto il nome ricorre sulle montagne, nelle vie alpinistiche che ha aperto.
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