Il diario scritto a mano
La riflessione di Giuseppe Geneletti sul futuro della comunicazione e dell'informazione nell'era dei podcast e delle piattaforme digitali

Questa mattina, mentre aspettavamo l’arrivo di alcuni clienti, mi sono ritrovato a chiacchierare con un giovane ingegnere di 27 anni su un tema che mi sta particolarmente a cuore: la comunicazione.
Con la schiettezza tipica delle nuove generazioni, mi ha chiesto: “Ma ha ancora senso scrivere articoli per la intranet aziendale o per i giornali tradizionali? Ormai i giovani si informano attraverso podcast, influencer e piattaforme dal basso, basate su community di interessi. Non è un po’ tempo perso?”
Una domanda lecita, che riflette un cambiamento evidente nel modo in cui oggi si diffondono e si consumano le notizie. Ma la risposta non è così scontata.
Gli ho risposto con un’analogia che viene dal nostro settore industriale. Qualche anno fa si fece una scommessa strategica, iniziando ad allontanarsi dal business delle lattine e del vetro, puntando tutto sul PET con la convinzione che sarebbe diventato l’unico materiale dominante. Il PET è cresciuto enormemente, ma vetro e lattine non sono scomparsi. Anzi, hanno saputo ritagliarsi nuovi spazi, diventando protagonisti in segmenti di mercato specifici.
Un esempio? Il ritorno delle bottiglie di vetro nei prodotti premium o delle lattine nelle bevande energetiche e nelle birre artigianali.
Lo stesso vale per la comunicazione. È innegabile che il digitale abbia soppiantato gran parte della carta stampata. Ma la stampa non è morta. I libri resistono nonostante gli e-reader. I giornali si sono adattati, trovando un nuovo equilibrio tra edizione cartacea e digitale. Perfino oggetti dati per obsoleti, come i vinili o le macchine fotografiche a pellicola, stanno vivendo una rinascita. Perché?
Perché offrono qualcosa che il digitale non può dare: fisicità, profondità, un’esperienza diversa e più tangibile.
Per concludere la mia risposta, gli ho raccontato un piccolo aneddoto personale. Questa settimana, le mie figlie stanno viaggiando in Sicilia e, invece di limitarsi a condividere foto e messaggi su WhatsApp, hanno deciso di tenere un diario di viaggio scritto a mano, che ogni giorno fotografano e inviano alla famiglia e agli amici. In un’epoca in cui tutto è immediato, questo gesto più lento e riflessivo ha assunto un valore speciale.
E allora la domanda non è se la comunicazione tradizionale abbia ancora senso, ma come deve evolversi per continuare a essere rilevante. Non si tratta di scegliere tra articoli, video, podcast o social media, ma di capire che ogni formato ha un ruolo, che i linguaggi si mescolano e che spesso ciò che sembra superato può trovare una nuova vita.
Perché la comunicazione, come il packaging e come le scelte dei consumatori, non segue mai una linea retta, ma un ciclo fatto di trasformazioni, adattamenti e ritorni inaspettati.
Chissà, magari tra qualche anno vedremo un ritorno delle lettere scritte a mano, o dei blog personali come negli anni 2000. Intanto, ci godiamo il piacere di un diario di viaggio che profuma di carta e inchiostro.
“Una volta un tale che doveva fare una ricerca andava in biblioteca, trovava dieci titoli sull’argomento e li leggeva; oggi schiaccia un bottone del suo computer, riceve una bibliografia di diecimila titoli, e rinuncia”, Umberto Eco.
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