Azzardo e comunicazione: strategie per raccontare una dipendenza sociale
Dal semiologo Michele Marangi agli esperti di And e Irga: a Varese un laboratorio di buone pratiche per informare su un fenomeno pervasivo e in rapida evoluzione

Sono arrivati da Udine, Piacenza, Mantova, Milano e dal Canton Ticino per partecipare al corso “Comunicare in modo efficace sul tema dell’azzardo”, organizzato da AND (Azzardo e Nuove Dipendenze) e IRGA (Istituto di Ricerca sul Gioco d’Azzardo) di Bellinzona.
Psicologi, psicoterapeuti, formatori, avvocati, medici, comunicatori e giornalisti si sono ritrovati al Palace Hotel di Varese per essere guidati in un vero e proprio percorso di buone pratiche comunicative dal semiologo Michele Marangi e dalle responsabili scientifiche Daniela Capitanucci (AND) e Anna Maria Sani (IRGA).
IL GIOCO D’AZZARDO È OVUNQUE
Il corso è stato l’occasione per fare il punto sulle varie attività svolte da chi si occupa di prevenzione e trattamento del disturbo da gioco d’azzardo, e per analizzare il rapporto con i media locali. «Il gioco d’azzardo è ovunque» ha detto Marangi.
La ragione è intuibile: in una società resa liquida dalle nuove tecnologie, il gioco d’azzardo entra nelle case attraverso Internet e diventa pervasivo anche grazie al lavoro “sporco” svolto dai game designer, che progettano piattaforme accattivanti: «una vera e propria morfina elettronica», la definisce Capitanucci. Il resto lo fanno i programmatori, che elaborano algoritmi pensati per massimizzare i profitti delle società che li utilizzano.
A questo proposito è risultata interessante l’analisi di Marangi su alcuni video presenti in rete, apparentemente innocui ma capaci di stimolare i minori attraverso interfacce fatte di colori, immagini, luci e musichette accattivanti, che ricordano molto le slot machine.
I GIOVANI A RISCHIO
I dati confermano che, ad essere coinvolti in questo fenomeno, sono sempre di più i giovani. In una ricerca condotta in Svizzera, tra il 2017 e il 2022, la percentuale dei minori a partire dai quindici anni coinvolti in forme di gioco d’azzardo è passata dal 2,9% al 4,5%. Un altro dato interessante riguarda i casinò: il 70% del loro prodotto lordo è generato da giocatori a rischio. Di fronte a queste cifre, pensare male dei casinò è doveroso, nonostante la presenza di psicologi messi a disposizione dei giocatori. Per quale motivo dovrebbero ridurre la percentuale dei giocatori a rischio, se questi rappresentano la loro principale fonte di guadagno?
È un’industria che si basa su una patologia: i disturbi da gioco d’azzardo. In Italia ne è affetto il 3% della popolazione, con un coinvolgimento attivo delle famiglie, che garantiscono circa il 60% dell’intero fatturato del settore. Un comparto che vale complessivamente 150 miliardi di euro, con un gettito fiscale superiore agli 11 miliardi.
UNA GALASSIA
Questi numeri restituiscono la dimensione della vastità del fenomeno. Secondo Marangi, riflettere sui malati affetti da disturbi da gioco d’azzardo significa anche ridefinire il perimetro delle definizioni utilizzate, a cominciare dalla parola “ludopatia”, considerata inadeguata e fuorviante. «Siamo di fronte a una galassia diversificata – ha concluso il semiologo -. Comunicare su chi ha problemi con le scommesse sportive non ha nulla a che vedere con la comunicazione riguardante chi passa la vita davanti alle slot o il minorenne che scommette con le criptovalute. C’è una percezione culturale da cambiare attraverso le parole. Ma per cambiarla serve tempo, tenendo conto del fatto che viviamo in un tempo senza futuro».
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