L’ultimo abbraccio stagionale ai Mastini, Raimondi saluta l’hockey giocato
Con il saluto al pubblico si è conclusa ufficialmente la stagione giallonera. Parlano l'attaccante che ha annunciato il ritiro ("Io coach? Bello, ma non adesso") e lo storico tifoso Gigi Ruberti ("Vedere Varese, sempre un piacere"

Arriva sotto forma di un abbraccio, forse il più caloroso della stagione, quello che un nutrito gruppo di super tifosi ha concesso ai Mastini sotto la volta dell’Acinque Ice Arena. Forti emozioni, e pure qualche lacrima, hanno congedato la squadra di Vanetti e compagni. In questa occasione speciale abbiamo incontrato due personaggi altrettanto speciali, un giocatore e un supporter storico. Edoardo Raimondi saluta i Mastini e conferma che non guiderà la squadra dall’alto della panchina giallonera; Gigi Ruberti, da oltre 40 anni segue Varese e racconta le sue emozioni.

IN PISTA – EDOARDO RAIMONDI
Quindi è ufficiale: titoli di coda per la sua carriera, senza neppure la speranza di scene post-credits?
«Sí, confermo, è arrivato il momento di appendere i pattini al chiodo, dopo 30 anni di carriera. Ora ho bisogno di stare con la mia famiglia, vivere meno di corsa ed impegnarmi in quello che sto facendo a Lugano. È stato tutto fantastico, vissuto in una società come quella giallonera che mi ha dato molto. Mi fa molto male, ma è tempo di percorrere altre strade».
In effetti lei ha iniziato proprio qui, nella Città Giardino. Come mai proprio l’hockey? Affari di famiglia?
«Certo! I miei genitori mi hanno sempre portato a vedere l’hockey su ghiaccio, giocato anche dai miei fratelli. Poi le mie origini sono trentine, dove è uno sport molto praticato. E poi a Varese c’era la mitica Shimano, che ha acceso una passione incredibile in me. E questa cosa mi fa molto strano: ai tempi chiedevo autografi a Biafore e Mansi, ora li firmo».
Come mai proprio il 91 sulle sue spalle?
«Ci sono due motivi specifici: mio fratello, di ritorno da Togliattigrad (Togliatti, in Russia, n.d.r.) per un camp estivo, mi portò una figurina foil di Sergej Fëdorov, dei Detroit Red Wings, che portava il 91. Poi, ecco, il mio è anche un tributo all’incredibile Stephan Figliuzzi, che a Varese tutti ricordano bene…».
A proposito di maglia, qualcuno vorrebbe vederla ritirata ed appesa sotto la volta del palaghiaccio.
«Per me sarebbe un onore incredibile, significherebbe lasciare un segno indelebile in un percorso della mia carriera sportiva verso cui ho dato tanto ed ho ricevuto altrettanto. Vivere questa emozione sarebbe fantastico, lo ammetto».
Qualcuno invece sogna di vederla guidare i Mastini dalla panchina.
«È una proposta allettante, ma devo declinare per una serie di importanti fattori, tra cui il grande lavoro svolto a Lugano, dove ho ruoli di grande responsabilità ed ottime prospettive di crescita. Poi, come dicevo, c’è il fattore famiglia che pesa parecchio. È una cosa che mi piacerebbe molto provare, magari in un prossimo futuro».
I giocatori lasciano il segno, spesso a suon di gol. Varese, con lei, perde un buon giocatore ma, prima di tutto, una persona di altissimo spessore umano, figura sempre più rara non solo nell’hockey, ma nello sport in generale.
«Ti ringrazio, e mi fa piacere che questa cosa emerga. Da sempre mi piace portare sul ghiaccio valori e principi che mi ha trasmesso la mia famiglia. Queste cose sono fondamentali, su cui ho basato non solo la mia carriera, ma anche la mia vita. Sul ghiaccio ho semplicemente messo me stesso. Penso di avere dentro di me una grande “varesinità”, anche se sono nato in Trentino: qui ho trovato un ambiente perfetto per il mio modo di essere. Questa cosa la trasmetto tutti i giorni ai miei ragazzi, ai quali dico sempre che, prima di essere un buon giocatore, bisogna provare ad essere un buon compagno di squadra. Credo che sia sacrosanto, e che sia l’unico modo per evolvere sia sportivamente che umanamente».

IN TRIBUNA – GIGI RUBERTI
Parliamo con uno dei tifosi storici dei Mastini, una vera e propria vecchia guardia.
Beh sì, mi sono appassionato a questo sport nel 1983, per colpa del mio amico Sergio (Visentin). Fui invitato a vedere una partita di questo strano sport che si gioca sui pattini, con il bastone… e fu amore a prima vista. Da allora ho perso pochissime partite dei Mastini, e sono passati più di 40 anni».
40 anni, molti di questi passati in curva.
«Ad essere sinceri, all’inizio più che curva eravamo attaccati in balaustra, allora si poteva. Da lì poi il movimento del tifo organizzato è cresciuto, è nata la Gioventù Giallonera, un gruppo di ragazzi incredibile, talmente bello che è davvero difficile parlarne. Sono stati anni di emozioni piene e stupende».
Passione pura, quindi. Ma da dove arriva questa incredibile voglia di sostenere una squadra che trasforma un appassionato in tifoso?
«Personalmente ho sempre detestato perdere, non sono molto “decoubertiniano”, quindi sì, gioco per vincere. Mi piace che lo faccia anche la mia squadra del cuore. Vedere i Mastini da sempre è stato un piacere: la loro grinta e la loro passione hanno contribuito ad esaltare la passione nel sostenere la squadra in tifosi speciali. Questa bella passione la stanno portando avanti le nuove leve, i Ragazzi della Nord».
Lei ha una sorta di “casa museo”, con maglie, bastoni, dischi… ma la differenza la fanno i ricordi.
«In quarant’anni di partite ne potrei citare davvero tanti. Ricordo con piacere le belle amicizie con tantissimi giocatori. Tra qualche giorno mi vedo con Jan Alston, che giocò a Varese nel lontano 1994. Ricordo episodi incredibili: in un derby Milano Saima – Milano Mediolanum, Mark Napier mi vide e batté il bastone sul plexiglass per salutarmi. Un campione della NHL che, con una maglia che non era quella del Varese, mi saluta? Emozionante. E poi anche le trasferte di Berna nel 1989 o Gara 6 a Caldaro dello scorso anno, altre emozioni indescrivibili».
Tempo di saluti. Saluti che pesano, come quelli di Edoardo Raimondi.
«Ho conosciuto Edo da ragazzino, e sin da subito ho visto in lui un ragazzino speciale, non ci siamo mai persi di vista. Lui è uno verso cui tutti si giravano quando c’era da superare un momento difficile. Lui è “Il Saggio”, persona dagli incredibili principi, da cui puoi sempre imparare qualcosa. Con Edo se ne va un pezzo importante della storia di Varese».
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